
La violenza non piace a nessuno, a parte i sadici. Nessuno gradirebbe diventare l’obbiettivo di una contestazione verbale e tantomeno di aggressione mezzo fumogeni, mentre dal palco del partito che vorrebbe essere l’alternativa al potere pidiellino, ci si accinge a dibattere sulle prospettive del mondo del lavoro italiano. Il Bonanni, segretario generale CISL è stato aggredito, contestato e fatto scappare prima del suo intervento. Alcune considerazioni in merito sembrano doverose, più alla luce delle dichiarazioni rilasciate in seguito che alla contestazione in quanto tale. Per gli esuberi umani della produzione o per un giovane, precario, flessibile, lucidamente ai margini di un paese sull’orlo del baratro, infatti, i motivi della contestazione possono risultare alquanto evidenti e sono quindi le reazioni verbali a questo attacco che dovrebbero stimolare una profonda riflessione.
E’ stato espresso da più parti discredito totale e biasimo generale per chi si è permesso, evidentemente extraparlamentare, di interrompere un comizio organizzato da una forza istituzionale. Anche le parole del Bonanni inseriscono con chiarezza la contestazione nella dimensione di realtà dalla quale è nata: il totale disinteresse delle istituzioni verso le problematiche nate nel solco delle sempre più pressanti sfide globali.
Al disinteresse si somma, ed è ancora più grave, la mistificazione palese della natura della contestazione:
“Erano giovani, dei centri sociali. Non erano lavoratori. E’ la gente che va a fare violenza allo stadio, professionisti della violenza, che naturalmente di fronte ai toni esagitati degli ultimi tempi provano ad inserirsi. Per questo alcuni farebbero bene ad abbassare i toni.”
Qui non si tratta di una risposta politica avversaria, ma di una gretta degenerazione, più o meno consapevole, a seconda dell’onestà intellettuale del Bonanni, della capacità di analisi dell’Italia di oggi.
Non erano lavoratori, forse il Bonanni è dotato di tale istinto sindacale da riuscire a capire l’impiego, il contratto, la categoria, direttamente al primo sguardo.
Non erano lavoratori, dunque non hanno nemmeno il diritto di parlare, sembra sotto intendere, figurarsi se possono permettersi di contestare. In questa società post moderna, chi non lavora, ce lo ricorda il Bonanni, non ha lo status sociale tale da poter vivere pienamente la propria cittadinanza.
E qui si gioca il nesso della contestazione stessa. Chi è che contesta in finale?
Chi si sente irriducibile al tradimento che le istituzioni stanno compiendo sulle spalle dei lavoratori. Traditi da un Governo, che ben anche se di destra, in teoria dovrebbe tutelare il proprio popolo elettore, traditi dai sindacati che svendono l’operaio alle direttive aziendali, traditi, ricattati e lasciati alla deriva con il paese tutto a perseguire nella solitudine e contro le forze centrifughe della globalizzazione, in conflitto fra capitale e diritto del lavoro, un’ormai solo agognata dignità lavorativa ed esistenziale.
I metalmeccanici oggi sono senza contratto nazionale, lo zoccolo duro del lavoro italiano, le leggendarie tute blu, sono in via di rotta, hanno perso ogni potere contrattuale sulla via della negoziazione per il valore della mano d’opera offerta, e questo soprattutto per tre motivi:
perché FIAT è diventata, come tutte le aziende globali, un potere extraterritoriale, non limitata al paese di origine e senza prospettiva di appartenenza ai vincoli nazionali geografici, perché il Governo ha buon gioco, il più semplice, a seguire l’aut aut delle imposizioni industriali di Marchionne, come unica soluzione possibile perché unica proposta e in finale perché la politica sindacale dei cosiddetti confederati (CGIL, CISL e UIL) ha perseguito uno strada di contrapposizione, in vista di non si capisce quale beneficio relativo, se non del prestigio personale ai tavoli del capitale transnazionale.

E’ l’italo- lavoratore è stato venduto, grazie alla logica globale della competitività e della produzione.
Indubbiamente la politica sindacale ha fallito nel corso degli ultimi decenni il suo scopo primario. La corretta tutela del lavoratore. Oggi infatti anche i metalmeccanici salpano per il porto della precarietà, con l’ipotesi ventilata e ormai sempre più prossima della contrattazione individuale: un abominio dal punto di vista sindacale.
Nel frattempo, FEDERMECCANICA stracciando il vecchio contratto nazionale targato 2008, conduce il mondo del lavoro italiano, a partire dal referendum di Pomigliano d’Arco, verso la delegittimazione finale del lavoratore in quanto portatore di diritti, diritti che vengono reinterpretati, nella logica globale della massimizzazione del profitto e della riduzione dei costi, come dannosi strumenti che intervengono a impedire quel che le dirigenze industriali invece vorrebbero promuovere.
La competizione interna alla classe operaia del ventunesimo secolo, ma non, come si potrebbe pensare, per la logica meritocratica ineccepibilmente necessaria in questo paese, ma per la logica del ricatto, a scapito dei propri colleghi, di una stragrande maggioranza di lavoratori presi per la gola e sempre più bisognosi di lavorare.
Per questo il Bonanni può strumentalmente affermare che la FIOM, secondo lui sindacato antidemocratico, non rispetta la volontà della maggioranza dei lavoratori. La maggioranza di essi con l’acqua alla gola è costretta a vendere se stessa, più o meno consapevolmente, solo per poter lavorare, solo per avere il diritto di poter continuare a vivere sempre peggio, del proprio lavoro.
Infondo il gioco degli industriali ha il senso di scoprire la strategia auto lesiva dei sindacati italiani che nel corso dei decenni per difendere gli interessi di tutti (anche di chi non lo meritava ma era tesserato), hanno finito per compiere un clamoroso errore dal punto di vista dell’etica del lavoro: permettere il ricatto, che adesso viene legittimato dal contratto individuale, di chi si è sempre approfittato dei diritti acquisiti, tanto il sindacato non avrebbe permesso nessun azione di allontanamento da parte delle dirigenze.
Il primo ricatto insomma è stato degli operai verso altri operai, e su questo c’è poco da lamentarsi. Bisogna semplicemente ammetterlo. Se poi Marcegaglia afferma che la disdetta del contratto nazionale da parte di Federmeccanica è un atto di chiarezza, tocca allora adesso ai metalmeccanici fare chiarezza nelle loro file, per riprendere con senso di causa le sfide inesorabili alle quali sono chiamati.

Un referendum nazionale fra le tute blu, sembra la strada da percorrere nel minor tempo possibile, perché mentre la velocità rapace del capitale non lascia il tempo di ponderare le decisioni migliori, e mentre i sindacati perseguono le proprie politiche di prestigio, solo ai lavoratori resta adesso e per poco, la facoltà di decidere come meglio scegliere di lavorare per vivere o di vivere per lavorare.
Dissentire fa parte della democrazia.
Impedire di parlare e lanciare fumogeni è espressione di violenza, che con la democrazia non ha nulla a che vedere.
L’illogicità della violenza è dimostrata dal fatto che le motivazioni della contestazione a Bonanni sono stati fagocitate dai modi censurabili con cui essa si è svolta
Il fumogeno di Bonanni e l’involuzione democratica
Dissentire fa parte della democrazia.
Mi domando e se non fosse volato il fumogeno, probabile atto di isteria rabbiosa?
Se i contestatori avessero espresso la loro contrarietà alla presenza del Bonanni esclusivamente con mezzi verbali sarebbe andata a finire diversamente?
Il problema è che questa contestazione è stata subito raccontata come un esempio di violenza politica e lo sarebbe stata anche a prescindere dal fumogeno incriminato.
Nessuno nel PD che conta capisce che si tratta semplicemente di ascoltare quel che dicono i lavoratori, e correggere il tiro della loro politica. Fallimentare. Autolesionista. Senza prospettive. E autoreferenziale. Senza sbocchi sul mondo reale.
Perché il PD non lascia le redine del proprio partito ai giovani tesserati che hanno davvero il polso della realtà sociale italiana?
Finché non prenderanno questa decisione dimostrano di non aver a cuore le sorti economiche, ma ancor di più sociali e culturali di questo paese. Ma di badare solo al loro potere, esiguo, sempre più ridicolo.
Anche la democrazia è violenta, caro animale sociale, violenza da parte di istituzioni che non integrano nel loro orizzonte di proposte politiche quello che possa riportare il lavoro ad un livello di dignità fondamentale proprio per tale forma di governo. Senza dignità sul lavoro, senza la possibilità di costruire il proprio futuro, la democrazia diventa quella italiana, tutto forma e poca sostanza.
Dissentire fa parte della democrazia.
Impedire di parlare e lanciare fumogeni è espressione di violenza, che con la democrazia non ha nulla a che vedere.
L’illogicità della violenza è dimostrata dal fatto che le motivazioni della contestazione a Bonanni sono stati fagocitate dai modi censurabili con cui essa si è svolta
Il fumogeno di Bonanni e l’involuzione democratica
Dissentire fa parte della democrazia.
Mi domando e se non fosse volato il fumogeno, probabile atto di isteria rabbiosa?
Se i contestatori avessero espresso la loro contrarietà alla presenza del Bonanni esclusivamente con mezzi verbali sarebbe andata a finire diversamente?
Il problema è che questa contestazione è stata subito raccontata come un esempio di violenza politica e lo sarebbe stata anche a prescindere dal fumogeno incriminato.
Nessuno nel PD che conta capisce che si tratta semplicemente di ascoltare quel che dicono i lavoratori, e correggere il tiro della loro politica. Fallimentare. Autolesionista. Senza prospettive. E autoreferenziale. Senza sbocchi sul mondo reale.
Perché il PD non lascia le redine del proprio partito ai giovani tesserati che hanno davvero il polso della realtà sociale italiana?
Finché non prenderanno questa decisione dimostrano di non aver a cuore le sorti economiche, ma ancor di più sociali e culturali di questo paese. Ma di badare solo al loro potere, esiguo, sempre più ridicolo.
Anche la democrazia è violenta, caro animale sociale, violenza da parte di istituzioni che non integrano nel loro orizzonte di proposte politiche quello che possa riportare il lavoro ad un livello di dignità fondamentale proprio per tale forma di governo. Senza dignità sul lavoro, senza la possibilità di costruire il proprio futuro, la democrazia diventa quella italiana, tutto forma e poca sostanza.