C’è qualcosa che non mi torna. Mi disinteresso: ho sempre creduto che questo fosse un atteggiamento superficiale, censurabile e profondamente sbagliato, ma da un po’ di tempo, da un bel po’di tempo, non riesco proprio a sentirmi in grado di addentrarmi nel cosiddetto dibattito politico.

In un certo senso faccio il gioco di Berlusconi, che alcune teorie più o meno fantapolitiche vedono architettare ogni tipo di trama affinché la gente si disinteressi alla politica, dal perpetuo cambio di argomento del giorno (la sua evasività alle domande è una delle prime regole di comunicazione politica che ho studiato mentre ero a Madrid), alla difficilmente credibile organizzazione di movimenti come quello di Beppe Grillo che, con presunte intenzioni apolitiche, o al limite affini alla fazione avversa, spingono verso una perdita dell’interesse per la vita politica del Paese.
D’altra parte non mi sento materialmente in grado di immergermi in una realtà che, a ben vedere, di politico ha molto poco e vivo questo mio distacco quasi con orgoglio, perché credo essere un primo segno di pensiero critico circa il fatto che nulla vada per il verso giusto.
Vedo metà Paese difendere l’indifendibile, e non mi riferisco solo alla recente questione di presunti rapporti sessuali con minorenni e il pagamento di prostitute da parte di colui che dovrebbe non solo guidare un Paese, ma anche essere coerente con chi l’ha sostenuto e con ciò che ha sbandierato durante la propria eterna, perché si trascina ben oltre il periodo elettorale, propaganda.
Dall’altra parte vedo l’altra metà del Paese che cade in questo gioco, che si sofferma sulle più becere questioni di un uomo quanto meno discutibile, vivendo appagata da questa sua avversione per quel nemico che le dà la possibilità di identificarsi, come l’etichetta “anti-fascista” ai tempi dei partigiani, e senza il quale viene da chiedersi come vivrebbe. Lasciando da parte il discorso secondo cui l’anti-fascismo aveva senso di esistere in una lotta combattuta sul campo mentre perderebbe la propria ragion d’essere se ambientato nel terreno di una, seppur discutibile, democrazia, quel che più mi stupisce è come nessuno sembri porsi la questione che sta alla base della politica: come governare questo Paese?
Ecco che allora si spiega il piacere che provo a sottrarmi ai discorsi politici: parlarne significa entrare in questa dialettica che divide gli scherani di Berlusconi dai suoi detrattori, significa commettere quell’errore che porta a focalizzare la propria attenzione su un tema che di politico ha poco e che, nel lungo periodo, finisce con l’equivalersi alla cecità, politica, s’intende.
Trovo inaccettabile sentire gente che chiude gli occhi, se mai li ha avuti aperti, tanto da non riuscire a capire che non c’è nulla di normale in ciò che accade in Italia e che molte critiche non sono solo frutto di una strumentalizzazione perpetrata dall’opposizione o dai media stranieri; d’altra parte non potrei proprio schierarmi, appoggiare né votare nessuna delle alternative che mi vengono proposte. Non si tratta solo di puro qualunquismo, che purtroppo esercita in questi anni più che mai il suo fascino, ma è realismo: se in un negozio mi offrono dei pantaloni bucati, provo a cercarli buoni in un altro, ma se questo me li offre strappati, allora tanto vale che mi tenga quelli che ho.
Qual’é allora il senso di questo mio intervento? Non è solo uno sfogo verso ciò che vedo e sento, né l’inizio di un movimento politico cittadino auto organizzato; quello che vorrei che la gente mi spiegasse è come può accettare di continuare ad andare avanti così, schierandosi in fazioni che, per gli inni ufficiali e gli slogan urlati dai propri sostenitori, ricordano quelle delle due squadre della mia città che si insultano vicendevolmente sentendo una rivalità che serve solo a rafforzare la propria identità e a distogliere l’attenzione dai problemi che si presentano quando le cose proprio non vanno.
La mia professoressa di latino, quando una frase era troppo oscura da tradurre, suggeriva di guardare il libro da lontano perché avendo una visione di insieme, non condizionata dalle singole parole di un solo, limitato, periodo, era più facile capire il senso generale: guardate l’Italia vivendo in un altro Paese, o se non volete o potete, fatelo ponendovi delle domande, come “ Cosa voglio veramente?” o “È davvero importante tutto questo?”.
Chiudo citando la scintilla che ha fatto sì che mi sedessi a scrivere tutto ciò che ho scritto finora: il tema del giorno è la presunta faziosità della televisione italiana, tendente a sinistra nonostante la stessa sinistra dica che l’informazione è in mano a Berlusconi.
Trovo questa seconda affermazione vera, perché suffragata da dati oggettivi come l’effettivo possesso di tre reti televisive e la maggioranza di personaggi vicini a Berlusconi all’interno del CDA Rai.
Trovo che le censure che sono state operate fino ad oggi siano la prova del nove e che di questo non si possa discutere.
Trovo altresì ovvio che un uomo di potere cerchi di manipolare l’informazione e che, se ci riesce bene, questo non appaia, perché così funzionava anche nel medioevo: il buffone criticava il re, che lo lasciava esprimersi a patto che non eccedesse e tutti pensavano che il buffone fosse libero e il re magnanimo. Gli argomenti del buffone erano la quotidianità del re, a volte i rapporti con le donne, i suoi successi militari.
E poi c’era il popolo, che si divideva: appoggiando il re non vedeva il castello ingrandirsi, le tasse aumentare, la libertà diminuire. L’altra metà faceva il gioco del buffone.
…………E’ un articolo ben scritto e lo comprendo.
Nello stesso tempo che l’impegno sociale (non quindi necessariamente politico) consenta di creare un tessuto da cui partire per organizzare e produrre un mondo migliore.
….. Discorso lungo e appassionante
ho trovato per caso questo post e… commento solo in base al fatto che credo, fortemente, di condividere quanto espresso e che di sicuro è qualcosa di condiviso da tante tante persone, ma mai abbastanza.
Mi piacerebbe comprendere in che senso tu dica mai abbastanza, l’estraneità alla politica italiana da parte di settori sempre crescenti dell’opinione pubblica italiana? In questo senso? Il partito dei non votanti è probabilmente il principale partito italiano, che ne pensi di questo?
Grazie del tuo intervento spero tu possa approfondirlo.
Fabrizio Dentini
Il Secolo 21
Ciao Vale,
grazie per aver commentato il mio post. Per aggiungermi a quanto detto da te: è vero, forse c’è un mugugno costante in giro (cui va correlato un certo disinteresse per la politica), senza che però queste lamentele sfocino in qualcosa di tangibile, il che non significa necessariamente una rivoluzione armata, sarebbe sufficiente un po’ di dissenso rumoroso.
In ogni caso: da quasi due mesi mi trovo ben lontano dall’Italia. So che quanto visto finora varrebbe almeno un nuovo articolo e non posso certo esprimere tutto in un solo commento a un post, ma devo dire che ho trovato più dissenso dalle persone della mia generazione che ho conosciuto qui, emigrate fuori Italia, piuttosto che da chi in Italia mugugna e, come direbbe ironicamente De Andrè, solleva un coro di vibrante protesta.
Vabbè, non rubo altro spazio. Grazie comunque per aver letto e commentato. Ciao!
ho trovato per caso questo post e… commento solo in base al fatto che credo, fortemente, di condividere quanto espresso e che di sicuro è qualcosa di condiviso da tante tante persone, ma mai abbastanza.
Mi piacerebbe comprendere in che senso tu dica mai abbastanza, l’estraneità alla politica italiana da parte di settori sempre crescenti dell’opinione pubblica italiana? In questo senso? Il partito dei non votanti è probabilmente il principale partito italiano, che ne pensi di questo?
Grazie del tuo intervento spero tu possa approfondirlo.
Fabrizio Dentini
Il Secolo 21
Ciao Vale,
grazie per aver commentato il mio post. Per aggiungermi a quanto detto da te: è vero, forse c’è un mugugno costante in giro (cui va correlato un certo disinteresse per la politica), senza che però queste lamentele sfocino in qualcosa di tangibile, il che non significa necessariamente una rivoluzione armata, sarebbe sufficiente un po’ di dissenso rumoroso.
In ogni caso: da quasi due mesi mi trovo ben lontano dall’Italia. So che quanto visto finora varrebbe almeno un nuovo articolo e non posso certo esprimere tutto in un solo commento a un post, ma devo dire che ho trovato più dissenso dalle persone della mia generazione che ho conosciuto qui, emigrate fuori Italia, piuttosto che da chi in Italia mugugna e, come direbbe ironicamente De Andrè, solleva un coro di vibrante protesta.
Vabbè, non rubo altro spazio. Grazie comunque per aver letto e commentato. Ciao!