Il razzismo elegante fra le parole. Di Giacomo Solano

In questi anni si fa un gran parlare del fenomeno immigrazione senza sapere veramente di cosa si discorre. Molti giornali, telegiornali e pseudo-esperti raccontano l’immigrazione sbagliando già la base del discorso: chi parla, spesso, utilizza una terminologia erronea e approssimativa in modo da fuorviare l’audience e indirizzare parti dell’opinione pubblica verso una determinata opinione (spesso contraria e discriminatoria verso gli immigrati). L’uso di termini di per sé già carichi di un significato valoriale e di giudizio inficia di fatto la possibilità di un approccio sereno verso i fenomeni migratori: approccio che dovrebbe radicalmente cambiare a partire quindi dalle parole usate.

Già nelle parole cominciano i processi discriminatori.

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Amadou: “Chiedo il permesso per una vita normale”

Genova, Via Gramsci

Amadou nasce nel 1985 e arriva in Italia nel 2007. Come tanti suoi coetanei senegalesi aspettava di trovare in Italia ben’altra vita che quella vissuta in nero che è costretto a vivere grazie alle normative sull’immigrazione vigenti.

Il suo racconto ci conduce in una prospettiva inedita, quella di chi percorre i chilometri per vendere le proprie mercanzie, perché è l’unica possibilità che ha per sopravvivere nel Belpaese.

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Quando gli immigrati ci raccontano gli italiani.

Modu Faye è un ragazzo senegalese che vive in Italia, in Senegal era il cantante di un famoso gruppo musicale, in Italia ha trovato lavoro come manovale e poi come guardia di sicurezza nei supermercati. Le sue parole schiette e non edulcorate restituiscono ai lettori del SECOLO 21 la corretta dimensione nella quale inserire il dibattito sul tema immigrazione.

Lavoro nero, spaccio, discriminazione legislativa e sogni irrealizzabili. Nonostante tutto l’Europa sembra continuare a essere la meta dei sogni per i giovani africani.

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