I suicidi in carcere? Arma di ritirata strategica. Di Vincenzo Andraous.

Che succede nei carceri italiani, dove agli slogan intransigenti dei giustizieri della politica si sovrappongono statistiche di dura schiettezza? Morti, suicidi, atti di autolesionismo..

Sul carcere è scesa nuovamente una cappa fumogena, una sorta di comando a non  rendere troppo eccessiva la pietà, in fin dei conti è tutto nello stato naturale delle cose, la ferraglia arrugginita  è ben custodita, non vale la pena dedicare tempo e denaro, certo meglio impegnarsi su altri fronti, più redditizi in termini di visibilità e consenso.

Questa è la sintesi su cui poggia l’intero impianto penitenziario italiano, il sentire comune sul carcere, che trasforma il diritto dei principi fondamentali in optional da sbandierare a comodo,  che non interpellano la nostra coscienza, sul ruolo,  sull’utilità, la stessa pena che alberga drammaticamente all’interno delle sue celle.

Disquisizioni, chiacchiericcio ruminante, quasi a voler  affermare che nelle galere non entra nessuno, non ci rimane alcuno, non esistono neppure condanne scontate, non si trovano uomini e donne alla catena, è tutta una bufala raccontata male.

Ora d'aria. Foto di Sabrina Losso.

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Il lamento di Bilel Karkin ai tempi delle deportazioni.

I lager per immigrati istituzionalizzati dalla politica.

In questi giorni a Torino, a Gradisca in Friuli e a Milano si sono susseguiti fatti, eventi, che avrebbero dovuto diventare notizie e non lo sono diventate. Molti immigrati rinchiusi nei CIE/ CPT, in particolare di nazionalità tunisina, si sono ribellati ad una deportazione imminente, essendo sempre più prossima la scadenza dei sei mesi di detenzione, ed hanno inscenato una protesta. Ma se la Busiarda, come chiamano i torinesi il giornale locale, non ne ha parlato, altrettanto hanno deciso di fare, i principali quotidiani nazionali. E questa protesta, simbolo delle contraddizioni sociali del XXI secolo che prendono forma nel nostro paese non ha trovato la dignità di assurgere a cronaca nazionale, con la conseguenza che sempre più lontana si sposta la consapevolezza su quel che i CIE siano davvero in seno all’opinione pubblica italiana. Negli anni ’70 i detenuti salivano sui tetti delle prigioni, la stampa ne parlava e si arrivò ad una riforma che sebbene mai applicata fino in fondo, rappresentava per questo paese uno scatto di civiltà.

In questo torrido luglio invece delle storie di questi nuovi detenuti non interessa a nessuno, l’informazione anestetizzata non valuta importante un lavoro di approfondimento su tale realtà, fatta di scontri con i militari e le forze dell’ordine, fatta di lacrimogeni, evasioni e tentate evasioni, atti estremi e quotidiani di autolesionismo, gesti incommensurabili di solidarietà, mentre proprio questo legame così umano, l’antirazzismo militante, viene raccontato come radicale e sovversivo. Radicale e sovversivo difendere il diritto di ogni persona a non essere trattato come un delinquente perché ha deciso di cercare la fortuna sulle coste di questa pasciuta e decadente Europa.

Per questo motivo il Secolo 21 ha deciso si accogliere il lamento di Bilel Karkin venti tre anni dalla Tunisia.
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Morire di caldo, morire di carcere. Che ne pensa il volontariato?

In questi giorni afosi i nervi sono messi a dura prova da un clima ingombrante, umido senza scampo di un sollievo o pausa di refrigerio. Ci si corica bagnati per svegliarsi sudati, mentre sulla fronte si accumula, come su grondaia sfinita, l’accavallarsi di gocce e gocce di fisiologico sfogo. L’essere umano posto in tale contesto meteorologico è portato naturalmente ad essere maggiormente suscettibile quando non apertamente irritabile.

E in carcere? Manco a parlarne, che tanto di carcere e di quel che lì dentro succede al di fuori del risibile spazio concesso sui TG nazionali, a chi interessa poi veramente? In carcere si muore di caldo e si muore e basta. Per questo motivo i volontari delle associazioni aderenti alla Conferenza regionale volontariato e giustizia della Liguria hanno deciso di manifestare la loro sofferenza per una situazione che se ha già oltrepassato il disumano, d’estate trabocca l’animale. L’Italia conta 67.800 detenuti ma solo 44.300 posti/branda e uno spazio a disposizione per ogni detenuto di 3 mq. Dall’inizio del 2010, 23 detenuti si sono impiccati, 6 sono morti dopo aver inalato del gas, 61 sono morti per malattia o per “cause non accertate”.

Dal 2000, 589 detenuti si sono suicidati, 1.688 sono morti in carcere.

Morire di carcere, il carcere in piazza.

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Che succede nei Centri di identificazione ed espulsione?

In questo articolo Il Secolo 21 affronta il problema, rimosso dal dibattito pubblico, dei CIE: Centri di Identificazione ed Espulsione. Cosa succede realmente all’interno di queste galere per stranieri? Quali sono le condizioni di vita? Chi sono le persone lì confinate e quali le loro storie?

Lo chiediamo a Simone Ragno dell’Ufficio Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio pochi giorni dopo la rivolta che ha funestato il perimetro del CIE di Ponte Galeria di Roma.

Il CIE di Ponte Galeria a Roma

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