Stefano non c’è più. Lo Stato lo ha strappato alla nostra famiglia. La sua unica colpa, oltre al reato ascrittogli, è stata quello di rivendicare i propri diritti: il diritto ad essere trattato dignitosamente dopo aver perso la libertà: negato. Il diritto ad essere assistito dal punto di vista legale, nonostante l’avesse richiesto più volte, in carcere e in ospedale anche attuando lo sciopero della fame: negato. Il diritto ad essere assistito dal punto di vista psicologico e morale, nonostante avesse chiesto aiuto in carcere alla sua comunità terapeutica: negato. Il diritto ad essere sostenuto dall’affetto della sua famiglia, poiché aveva richiesto il colloquio con il cognato: negato. Il diritto ad essere confortato religiosamente, avendo lui richiesto un bibbia, ma nel carcere- ospedale non c’era: negato. Il diritto ad essere curato dai medici come ogni altro cittadino, per le lesioni subite nell’ambito di strutture dello Stato: negato perché semplicemente abbandonato.
Che male aveva fatto un ragazzo di 31 anni, sano, attivo, generoso ad essere ridotto così ?

Che reazioni avrebbe attuato, quali parole avrebbe proferito forse in un momento di sconforto per la convalida dell’arresto, per essere vessato così nelle celle dello Stato, lui così esile, oltretutto ammanettato e circondato da forze dell’ordine?
Abbiamo, io e mia moglie, educato i nostri figli al rispetto delle Istituzioni, che sentiamo nostre, a perseguire sempre la verità e ad avere Fede, specie nei momenti peggiori della vita.
Ora noi vogliamo, anzi pretendiamo dallo Stato la verità, tutta la verità. E’ un nostro sacrosanto diritto.
Stefano era un ragazzo normalissimo, pieno di vita e di entusiasmo, aveva fatto degli errori, come tanti altri ragazzi compiono a causa della nostra società malata, ed era incappato nella droga, ma con carattere, dopo anni di permanenza in una comunità terapeutica (il Ceis del compianto Don Picchi) si era completamente recuperato e riconciliato con se stesso oltre che con la società.
Del che io ne ero e ne saro’ sempre orgoglioso.
Purtroppo persone fragili come lui rimangono sempre esposte alle insidie del sistema che ruota intorno alla tossicodipendenza, e lui ne era rimasto di nuovo invischiato, ma si sarebbe riabilitato anche questa volta. Ne sono matematicamente sicuro.
Forze oscure glielo hanno impedito.
Stefano viceversa, controcorrente rispetto alle “regole” della nostra società, dopo la tempesta della droga, era alla ricerca, o meglio, alla riscoperta dei veri valori della vita, perché era fondamentalmente un idealista: il contatto con la famiglia e tutto il complesso degli affetti che ruota intorno per lui era un’esigenza, un sostegno ed un dovere: ad ogni compleanno non faceva mai mancare a tutti i suoi cari un regalo, anche se in quel momento aveva pochi soldi. Per lui era una questione di vita o di morte dimostrare così il suo affetto e il suo attaccamento a noi.
Per lui era importante coltivare amicizie vere, di quelle per cui ci si sacrifica e non si chiede solamente, ma per le quali soprattutto si dona.
Per risollevarsi si era dato una disciplina nello sport, praticando la boxe, per lui come non mai “la nobile arte”, e credeva nel suo lavoro di geometra e vi si dedicava con impegno, entusiasmo ed ottimi risultati.
Negli ultimi tempi mi aveva confidato di essersi riavvicinato seriamente alla nostra religione, perchè aveva capito che quel che più conta era la conservazione, lo sviluppo e l’arricchimento della propria vita.
La vita umana insomma, al primo posto.
La nostra società è malata perché ha perso ogni valore e ideale.
L’esempio di Stefano consiste in questo: una persona come lui che ha vissuto tante traversie e che ha rischiato innumerevoli volte la vita fino a perderla, ha compreso che non sono i segnali effimeri del nostro sistema materiale e consumistico a valere, ma altri segnali ben più profondi e validi che debbono essere rivalutati e perseguiti.

Stefano era un idealista, forse un romantico, ma probabilmente è proprio questo che l’ha perduto. Il cinismo, l’indifferenza, l’inconsapevole crudeltà delle strutture dello Stato che lo hanno tenuto in consegna, alcuni tutori dell’ordine e della salute pubblica che l’hanno vessato e abbandonato a se stesso, queste cose lo hanno profondamente ferito nell’animo.
Ma come è possibile che questo sia potuto avvenire? Ma in che razza di Società cosiddetta “civile” viviamo?
Ogni giorno scopriamo nuove vessazioni, passate presenti e remote. Dove è finita la nostra civiltà che agli albori dell’Europa ha dettato le regole del vivere civile?
E’ possibile che i nostri cittadini figli, nipoti, amici, conoscenti, vicini di casa, possano subire ingiustizie proprio da quelle strutture che dovrebbero difenderli?
Basta, vogliamo la verità e la giustizia.
Ci vuole un esempio anche per dare voce (e riconoscenza) a quelli che ogni giorno fanno il loro dovere e isolare quelli che pretendono di farsi giustizia da soli e infliggere pene o morte a persone indifese nell’ambito di Istituzioni Pubbliche.
L’opinione pubblica deve sapere quello che è successo a Stefano e a tanti altri che stanno uscendo fuori adesso dall’anonimato e a tanti altri ancora che probabilmente non hanno il coraggio di dichiararsi; la civiltà di un Paese infatti si giudica dalla dignità che deve essere tutelata ai ristretti in carcere a cui è stata tolta la libertà.
Questo messaggio è rivolto soprattutto ai giovani: si può uscire dalla droga o da altre problematiche sociali, a condizione di riscoprire i veri valori della vita. Occorre avere un posizione di vigilanza attenta e critica su tutto ciò che ci viene proposto ogni giorno dai media.
Noi lotteremo senza tregua per ottenere giustizia e verità per restituire dignità Stefano e a tanti altri ultimi.
Stefano ha sofferto e subito violenza. Non dobbiamo rispondere con violenza a violenza. Non dobbiamo.
Lui non la voleva. Lui la rifiutava.
Noi la rifiuteremo.
Queste le coraggiose e toccanti parole di Giovanni Cucchi, il padre di Stefano. Sua madre mi racconta anche che nel verbale di conferma dell’arresto del figlio vi era stato scritto: albanese, senza fissa dimora, che non vuole avvisare i parenti.
Il caso Cucchi è diventato il simbolo di una condizione, quella del detenuto, che sempre con maggiore frequenza viene a diventare un momento nel quale i diritti prescritti dalla legge e dalla Costituzione in primis vengono tragicamente a mancare. Il cittadino detenuto diventa quindi il terminale di una violenza che, oltre all’essere di Stato, acquista un connotato più ampio: è la violenza stessa insita fra le persone, è la violenza alla quale l’opinione pubblica è così abituata da esserne anestetizzata a permettere tutto ciò e a renderlo possibile.
Le mele marce imputate per il caso Cucchi sono 13 (3 guardie del carcere, 6 medici, 3 infermieri e un funzionario del ministero). Vedremo ad ottobre, le udienze sono state fissate per il l5/19/26, come la magistratura deciderà di intervenire e chi deciderà di rinviare a giudizio. Ricordando sempre che se non si puniscono e si espellono le mele marce, in fondo al cesto rimarranno solo loro.
Per approfondimento: Che cosa è un omicidio di Stato?
Se l’è cercata e poteva restare a casa sua.
Rete di informazione sulle vittime della violenza statale: http://www.reti-invisibili.net/
Non trovo parole per esprimere la mia tristezza!
Sono greca ed aspettando al aeroporto di Fiumicino per mio volo ho visitato un negozio ed ho visto per caso il libro di Ilaria!
L’ho letto e mi sono rimasta scioccata.Ho pianto molto per come e’ finito questo simpatico ragazzo.
Mi dispiace tanto.
Stefano non c’e’ piu’ ma spero che un giorno possiate trovare le spiegazioni che volete.
Coraggio
Antigone
Non trovo parole per esprimere la mia tristezza!
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