IL SUICIDIO GIOVANILE, APPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SUL FUTURO DEI RAGAZZI ITALIANI.
I ritmi imposti dalla crisi, dalla concorrenza globale, dalla sfida rappresentata dalle economie che proliferano sulla deregolamentazione del mercato del lavoro, hanno effetti diretti sulla natura dell’essere umano del XXI secolo: relegano gli ambiti privati di ciascun individuo ad esaurirsi in scampoli di riflessione azzardati, momenti di verifica personale limitati dalla necessità contingente, l’esterno e il materiale sopraffanno l’intimità del pensiero e della disposizione al pensiero, mentre gli slogan provenienti dalle agenzie sociali preposte semplificano eccezionalmente la questione.
E la salvezza mentale diventa un imput esogeno che ci ricolloca in una dimensione discussa altrove, da attori terzi, partiti, istituzioni, enti spirituali, che codificano le nostre condotte per mezzo dei loro canoni particolari, restituiendo un senso alle nostre esistenze, e al contempo, limitandolo alle proprie istanze. Un senso mediato dai loro parametri e solo marginalmente dal senso critico individuale e dal metro di giudizio personale. Il pensare è un atto eroico. L’eroismo si concretizza nel valutare come suprema la ricerca della verità, il che significa in altre parole, il raggiungimento dello sviluppo individuale per ogni essere umano, la pienezza della persona conquistata con un percorso differente fra ognuno e comune a ciascuno. Il disporre del tempo sufficiente per attendere, e rifuggendo il fluire delle problematiche proposte con concitazione dai coordinatori delle nostre vite, decidere di porci in prima persona le domande più strettamente connesse alla nostra esistenza. Il suicidio è un aspetto di questa questione, manifesta fra l’altro, l’incapacità di adattamento a ritmi esterni non condivisi, condivisi senza criticità, o assimilati senza riflessione. Il suicidio giovanile collocato in questa prospettiva può essere letto come tensione individuale al selezionare una strada sbagliata, mar pur sempre individuale, considerata in ultima analisi come unica sfera nella quale l’adolescente, può ancora decidere in autonomia del proprio destino. E purtroppo spesso decidono di concludere sul nascere un percorso del quale, non vedendo la propria indipendenza, non detengono il pieno sviluppo e si ritraggono con un tonfo sordo dalla condivisione di tale frustrazione.
Non credo che siano solo gli eventi sociopolitici di questi ultimi anni che hanno determinato una disperazione esistenziale tra le fasce giovanili: l’esproprio culturale, l’impotenza nei confronti del Sistema e dei poteri forti, le difficoltà nel tentare di partecipare, onestamente ma in maniera riconosciuta, alla vita sociale del proprio Paese… sono cose non di oggi. Le portavamo in piazza (evidentemente con scarso successo) già noi, ex-ragazzi del ‘Sessantotto… e Pasolini ci bacchettava. L’Italia dei favoritismi, delle truffe, dei privilegi, delle corruttele, delle accolite (da quelle sedicenti etiche a quelle dichiaratamente contigue o derivanti dall’associazionismo mafioso e camorristico)… quell’Italia era ed è ancora drammaticamente il nostro Paese. Una cosa però è cambiata e ancora sta cambiando: la prospettiva. Pasolini ci accusava di “prospettivismo”: diceva che i giovani intellettuali del Movimento Studentesco si alimentavano allora eccessivamente di prospettive e che le creazioni letterarie (sempre di allora) si concedevano esageratamente alla necessità del cambiamento (qualcuno usava impropriamente al posto di “cambiamento” la parola “rivoluzione”) rinunciando a un dialogo positivo con il presente. Il suo dialogo con il presente era infatti militante: i “Parlanti” uscivano dalle baracche delle periferie romane per entrare sulle pagine dei suoi scritti. Spesso la prospettiva è un’infatuazione, ma è sempre comunque una speranza; spesso la prospettiva si alimenta con l’ingenuità e l’illusione, ma quando il sogno è condiviso è sempre un viaggio stupendo e non ci si sente mai soli nel compierlo. Purtroppo Pasolini aveva ragione quando diceva che la cultura borghese stava irrimediabilmente inquinando le nostre coscienze; i miti si sono infatti spostati, l'”io” di oggi ha sostituito il “noi”di allora; la realtà rappresentata ha sopravanzato la realtà reale nell’interesse della gente, e questo grazie anche all’Omino del Paese dei Balocchi che promette ancora e sempre agli ingenui, e adesso a mezzo schermo e stampa, la più indicibile e spensierata felicità terrestre in cambio di un consenso. Dov’è oggi la prospettiva? Dov’è oggi il Cristo laico che avrebbe dovuto concretamente consolare gli afflitti, assistere fraternamente gli infermi, portare umanità ai carcerati, accogliere gli umili? Nei Palazzi no di certo. In nessun Palazzo! In quelli di oggi ancor meno di quelli di ieri. Negli attuali Palazzi del Potere è stata bandita ogni prospettiva d’amore ed è quella, in definitiva, la prospettiva che dovete (dobbiamo) recuperare.
Pino Marinuzzi