
Aoitif nasce nel 1982 in Marocco e arriva in Italia nel 2000. A differenza di molte altre persone che decidono di emigrare Aoitif è arrivata in Italia con il visto turistico per venire a trovare una zia che vive a Loano. Una settimana prima che il visto scadesse ha deciso in accordo con la famiglia di rimanere in Italia insieme al fratello di 15 anni. Inizia così una nuova vita che mai fino a quel giorno si sarebbe aspettata di dover affrontare.
Aoitif cosa ti aspettavi di trovare in Italia quando sei partita dal Marocco?
Essendo partita con l’idea di trascorrere una semplice vacanza con la mia famiglia vedevo l’Italia con gli occhi del turista. Non mi preoccupavo delle problematiche che un immigrato può incontrare quotidianamente, le scritte in italiano non mi interessavano particolarmente e pensavo soltanto a visitare un paese che dal punto di vista architettonico e paesaggistico offre moltissimo a chi viene per la prima volta nel vostro paese.
Come è cambiata poi la tua percezione dell’Italia una volta deciso di rimanere a viverci?
Dal momento in cui ho deciso di stabilizzarmi in Italia sicuramente mi sono trovata ad affrontare moltissimi problemi. Primo di tutto la lingua e l’orientamento in un paese che non conoscevo per niente. Per mantenermi avevo deciso di lavorare in un albergo che però si trovava distante da dove vivevo; l’idea di dovermi spostare in pullman e chiedere informazioni alla gente mi terrorizzava.
Inoltre, cambiava anche la mia idea del futuro, ho iniziato a chiedermi come avrei dovuto comportarmi, cosa avrei dovuto fare per andare avanti, domande che prima certamente non mi ponevo.
Una volta scaduto il visto turistico mi sono trovata a vivere l’esperienza del clandestino che mi ha accompagnata per circa due anni e che, almeno inizialmente, condizionava il mio rapporto con gli altri: ho dovuto nascondermi per una settimana in casa per non essere vista dalla padrona di casa contraria all’idea di avere un’altra immigrata in casa propria e stare attento a come mi ponevo davanti alla polizia che, vedendomi con mia zia, ed essendo in un piccolo paese, mi salutavano senza sapere però chi fossi realmente.
Hai ottenuto il permesso di soggiorno nel 2002 in seguito alla sanatoria per la regolarizzazione degli immigrati e, dal 2005, sei in possesso della carta di soggiorno. È cambiato qualcosa nell’idea che la gente ha di te?
Se devo essere sincera no. A chi prima mi additava come straniera non interessava assolutamente se io fossi in regola o meno, quello che contava è che io parlassi una lingua diversa dalla loro e che il colore della mia pelle fosse diverso; chi è veramente interessato al processo di integrazione tra persone di differenti culture non si preoccupa minimamente del fatto che una persona sia regolare o meno. Quel che conta è l’uomo in quanto tale, non perché in possesso di un pezzo di carta che lo rende identificabile.
Anche dal punto di vista di vita sociale è cambiato ben poco, quello che facevo prima l’ho continuato a fare senza problemi: ho fatto diversi lavori, ho seguito corsi per stranieri e ho partecipato a diversi campionati di Karate, il mio sport preferito.
Devo comunque ammettere che, in linea di massima, possono ritenermi contenta di come sono stata accolta in Italia anche se non sono mancati episodi spiacevoli.
Aoitif, a differenza di molte sue concittadine e coetanee, ha scelto di portare il velo. Questa decisione ti ha portato a vivere situazioni negative?
Come detto prima non sono mancati episodi spiacevoli e molti di questi sono proprio dovuti alla mia scelta. Anche se ormai mi sto lentamente abituando, capita spesso che la gente mi guardi con occhi straniati e mi chieda continuamente di levarmi il velo pensando che sia una costrizione della mia famiglia o che sia sposata; a nessuno passa per la testa che possa essere una scelta fatta da una persona libera che ha le sue idee e la sua etica personale, sono luoghi comuni duri a morire.
Aoitif ora che è in possesso della carta di soggiorno può sicuramente essere ritenuta fortunata rispetto a molti altri immigrati costretti a vivere come fantasmi.
Ora che si è stabilizzata può pensare più tranquillamente al suo futuro, che lei si immagina possa essere ancora in Italia, paese che nel complesso ritiene ospitale. Razzisti e ignoranti esistono ovunque e bisogna imparare a conviverci, senza però mai rinunciare ai propri diritti e a dar voce a persone finora “nascoste”; per Aoitif ritiene che il 1° Marzo deve essere l’inizio di un lungo cammino che porti gli stranieri a farsi coraggio e a credere sempre più nella loro forza, imparando a camminare da soli e non rifugiarsi sempre e soltanto nella buona volontà e nella gentilezza degli italiani aperti al dialogo interculturale.