
L’incontro del Secolo 21 con i latinos di Genova è una traiettoria scontata. Dopo anni e anni di disinformazione e di attuazione ad hoc della strategia del mostro in prima pagina, questo articolo cerca di bilanciare la marea disinformativa che ha spesso circoscritto e denunciato come nuovo pericolo cittadino il mondo dei giovani immigrati sudamericani e il loro stile di vita. Di seguito una testimonianza schietta che senza fronzoli riporta l’eco di un percorso vissuto spesso ai margini, nelle piccole cose, soprattutto della versione ufficiale.
Di fronte a G., componente dei Nietas, il dialogo è spiccio, diretto a raddrizzare le tante fandonie di pagine e pagine di cronaca cittadina: dalle parole emerge un mondo ignorato, negato e criminalizzato. Dalla scuola allo spaccio, dopo brevi e precarie esperienze lavorative, il passo è spesso veloce, chi direbbe indotto, chi forzato. L’illegalità si mastica con familiarità, la riflessione spinge a cogliere un cammino segnato da leggi discriminatorie, un percorso per molti aspetti prescritto con il benestare di tutte le istituzioni.
IL CONTESTO
Raccontami la tua storia, quando sei arrivato a Genova?
Sono arrivato in Italia nel 1990. Ho fatto le scuole a Genova sino alla terza media. Avevo 16 anni quando mi sono iscritto al Bergese, istituto di formazione per la ristorazione, ma da quel momento in poi raggiunta la maggiore età ho avuto problemi per il discorso dei documenti. A 18 anni infatti ero considerato un soggetto indipendente dalla mia famiglia e rispetto alla legge.
Che ne pensi della legge e dei problemi quotidiani che crea ai giovani stranieri?
La legge dovrebbe almeno farti studiare fino alla V per prendere un diploma, invece ti trovi a 18 anni in terza superiore che devi fare delle scelte, o abbandoni la scuola o cominci a lavorare.
Siccome avevo 18 anni in prima superiore mi è stato proposto di fare le serali, ma dovevo andare dall’altra parte della città e a quell’ora non avevo nemmeno un bus per tornare a casa, a questo si aggiungevano le preoccupazioni di mia madre che aveva paura che a quell’ora invece di andare a scuola andassi per i fatti miei. Così ho rinunciato.
Come è stato il tuo incontro con il mondo del lavoro?
Ho cominciato a lavorare come lavapiatti in un ristorante, poi sono diventato aiuto cuoco, ma dopo sono cominciati i problemi con il datore di lavoro, infatti dopo due anni di lavoro in nero con la promessa di essere assunto, si è rifiutato di mettermi in regola e così ho smesso di lavorare.
Ho cominciato quindi a frequentare un corso da panificatore, per 7 mesi, era uno stage e quindi non vedevo una lira, lavoravo dalle 4 di notte a mezzogiorno. Ho continuato dopo ad arrangiarmi con vari lavoretti finché ad un certo punto ho smesso tutto ed ho cominciato a spacciare, prima fumo poi sono passato ad altri sostanze. Per come stanno le leggi, volendo o non volendo, visto che comunque la vita non è tutta organizzata e pianificata in anticipo nel minimo dettaglio, purtroppo si può arrivare ad un limite in cui sei costretto a trovare una qualsiasi maniera per andare avanti: capita di mettersi a rubare per poter mangiare almeno un pasto al giorno. Voglio dire che un giovane vedendo che qui non ci sono tante possibilità di vivere lavorando purtroppo è costretto in un modo o nell’altro a delinquere per sopravvivere.
Come ti ricordi la situazione di quando sei arrivato in Italia?
A quei tempi come extracomunitario c’erano maggiori possibilità lavorative e per i documenti meno problemi. Adesso, le cose, invece di migliorare sono peggiorate. Oggi giorno, per uno straniero, solamente avere la residenza ti obbliga ad avere una casa ed un posto di lavoro, ovviamente tenendo conto il fatto di essere incensurato.
Che cos’é la violenza nella realtà da cui provieni?
Se esiste c’è per la fame, per la mancanza di lavoro. In Ecuador lo stipendio minimo di un operaio arriva fra i 200/300 dollari al mese. Per quelli che hanno un buon lavoro, gli altri possono guadagnare anche solo 110 dollari. Per fare 50 dollari ci vuole una settimana, per farli qui basta un giorno. In Sudamerica ti ammazzano anche per un centesimo. Ci sono anche i sicari, che ti ammazzano per 100 dollari. E’ un modo di lavorare, la vita di una persona non vale niente.
Qual è il rapporto dei giovani con alcol e droga?
All’inizio cominci con l’alcol, magari a 10/12 anni vedi bambini ubriachi marci per la strada. Vedere ragazzini con attacchi etilici è una cosa pesante, ma diffusa. Per le droghe poi ognuno sceglie la sua strada, io nel 2001/2002 facevo uso di eroina, poi ho avuto la mia esperienza in carcere e da la sono uscito disintossicato.
LE BANDE, PANDILLAS LATINAS
E invece qual è la tua versione, cosa sono le bande, a prescindere da tutto quello che è stato detto a proposito e a sproposito?
Si possono chiamare volgarmente bande per la società, per chi invece le vive e ne fa parte sono uno stile di vita che si porta avanti nella maniera che ti viene insegnata. Questi gruppi è vero, provocano problemi: risse, spaccio, violenze sulle donne, è inutile negare l’evidenza, però non tutti i gruppi della strada hanno questa mentalità. Se ti insegnano a riconoscere l’abuso in tutte le sue forme, porterai sempre presente in te la contrarietà a queste cose. Come Nietas ( Nueva vida) i nostri valori sono l’umiltà e la fratellanza che ci insegna a crescere insieme, anche se non siamo fratelli di sangue, nella realtà della vita di tutti i giorni. Ho conosciuto i Nietas nel 2002 appena uscito dagli arresti domiciliari, poi in seguito in carcere. Per due anni mi ripetevo le poche parole che avevo imparato, e ho capito che non erano parole errate, ma giuste, perché nel confronto con le altre persone mi hanno messo davanti agli abusi e agli sbagli che ho fatto. Grazie a dio abbiamo sempre avuto dei buoni modelli i quali ci hanno inculcato il lato positivo e il lato negativo di essere membro dell’associazione Nietas.
Qual è il rapporto dei giovani fra legalità e illegalità secondo la tua esperienza?
A prescindere dall’essere straniero, molti italiani lavorano, per arrotondare spacciando. Magari oltre a farne uso si danno una mano, visto che lo stipendio minimo non basta per arrivare a fine mese. Il discorso è: “Quali sono le opportunità che la società ti da o ti toglie?” La scelta non dipende solo dal giovane e dalla sua volontà e soprattutto non corrisponde al vero l’immagine negativa dello straniero, perché non tutti sono così, c’è anche chi cerca semplicemente un futuro che nel proprio paese non si può avere.
Quanto conta per un giovane straniero di Sampierdarena poter stare al centro sociale Zapata?

L’importanza del Centro sociale Zapata per noi giovani stranieri è l’avere un posto dove stare insieme, riunirsi, senza il timore continuo di essere fermati dalla legge per controlli o solo per lo sfizio di richiamare l’attenzione. In questo posto non siamo giudicati dalla società, come invece succederebbe se ci riunissimo in un parco all’aria aperta. Ci chiamerebbero subito gli sbirri.
Cosa ne pensi della manifestazione del 1 marzo, lo sciopero degli stranieri?
L’impressione è stata positiva, a dire la verità non ci aspettavamo tutta quella folla, e meno di tutto la partecipazione degli italiani, che sono quelli che comunque capiscono i problemi delle nostre comunità. Speriamo che per il futuro ci sia molta più comprensione per gli stranieri che vorranno avere un’opportunità e un futuro in questo paese.
Qual è la tua opinione dei giornali genovesi?
Tra il dire e il fare c’è molta differenza, molti giornalisti si basano solo su supposizioni senza fare una vera ricerca. I giornalisti fanno il loro lavoro, devono mangiare, vivere e guadagnare, però per questo non possono permettersi di calunniare le persone, senza sapere il perché di certi comportamenti. Se un giovane viene arrestato in qualche magazzino mentre ruba, può essere che lo stia facendo solo per procurarsi qualcosa da mangiare, non per forza per lucrare o arricchirsi. A me è successo di essere arrestato perché ero sull’autobus senza biglietto e con un grammo d’erba. Il giorno dopo sul giornale c’era mezza paginata di calunnie. In occasione di ogni episodio che coinvolge dei giovani latini usano sempre immagini di repertorio e non si accorgono del danno che provocano a chi dal 2006 ha intrapreso un altro percorso. I nostri genitori vedendo le foto, nonostante sappiano bene che non siamo noi i colpevoli, ci restano male, e comunque questo modo di agire porta alla nostra discriminazione: il giorno dopo vedi che la gente ti guarda e tu non capisci sino a che arriva quello con la faccia più tosta che ti chiede: “Ma sei tu quello del giornale?
Nietas e Latin King hanno firmato nel 2006 la pace di fronte alle telecamere e con il benestare dell’Università di Genova e delle istituzioni. Quale sarà il futuro di questa pace? Che cosa è stato fatto per agevolare la loro integrazione e per evitare che succedano in futuro ulteriori, e sempre possibili, episodi di violenza? Le istituzioni hanno favorito questo percorso?
La responsabilità non sta dove la scintilla innesca il danno, ma dove chi ne ha la responsabilità, non agisce per disinnescare ogni aspetto che favorisce lo sviluppo di queste tensioni sociali. Giovani, immigrati, vida de calle, di strada, se nessuno pensa a loro in tempo di pace, nessuno si lamenti quando alla violenza si reagisce con lo stesso peso. Quando al disinteresse a e all’emarginazione gli strati sociali più criminalizzati reagiscono con gli strumenti che possiedono.
soy un ecuatoriano y ero parte d nietas y se como es ser parte no se como dicen q son una amenasa nadie ase dano a nadie si no lo busca soy ecuatoriano y vivo en milano italia y quisiera ser nieta denuebo
Sono un ecuatoriano e facevo parte dei Nietas e capisco come sia essere parte di loro, non capisco però perché dicono che sono una minaccia nessuno fa danni se non è non è provocato, sono ecuatoriano e vivo a Milano, in Italia e vorrei essere dei Nietas di nuovo.