Cogliendo l’occasione fornita dalla Campagnia referendiaria per l’acqua pubblica: ACQUA BENE COMUNE, (questi i luoghi dove si può firmare a Genova) Il Secolo 21 racconta grazie a Cosimo Spelizzi, un esempio di ingegno umano. Come sia possibile con tanta dedizione e sacrificio aprire un’alternativa differente per lo sfruttamento delle risorse della terra, in particolare appunto dell’aegua.
In fondo dal’Italia si combatte la desertificazione. Mentre il nord Africa è il culmine di un continente che inesorabilmente perde la possibilità di dare da vivere ai suoi abitanti a causa della progressiva crescente desertificazione e mentre in Iraq, l’Eufrate, fiume dove nacque la civiltà umana, prosciugato dai cambiamenti climatici, toglie il sostentamento alle popolazioni in affanno, in Salento si svolge l’avanguardia della lotta alla desertificazione nostrana: l’orto dei T’urat.

Come avete scoperto questa tecnica?
La tecnica è antichissima, e risale a circa 9/8000 anni fa verso la fine dell’ultima glaciazione del Wurm. I primi popoli che adottarono questa forma di ingegneria idraulica furono gli antichi abitanti della regione del Negev una delle prime regioni del medio oriente a cui capitò di subire il processo di desertificazione, insieme al Sahara.

Pare che costoro per non migrare definitivamente sperimentarono vari tipi di sbarramenti e/o drenaggi per captare e conservare anche la singola goccia di acqua. E’ da questo tipo di sapere arcaico studiato in modo approfondito dalle ricerche di Pietro Laureano, che abbiamo potuto di sviluppare l’idea dei tu’rat.
Quanto tempo avete impiegato per costruire la strutture di muretti a secco? E che costi avete affrontato?
E’ utile una premessa, le pietre usate per la realizzazione non sono state dissotterrate dal terreno, abbiamo utilizzato cumuli di massi molto grandi, già sbancati e accatastati in alcuni campi fin dall’epoca della costruzione dell’acquedotto pugliese, realizzato durante il ventennio fascista.
Per questo ci pare di poter affermare che la realizzazione è stata a basso impatto ambientale ed a km zero.
Per quanto concerne il tempo di realizzazione, abbiamo impiegato quasi un anno. Ogni pietra è stata presa per mano ed opportunamente adagiata con un proprio incastro, così le facciate e così la parte interna che non si vede.
Relativamente ai costi, il realizzato ha un valore pari a 50.000,00 euro considerato trasporti, riduzione in pietre più piccole, mano d’opera e spese varie. Naturalmente tutto autofinanziato.
Come descriveresti un Tu’rat e come è stato deciso il loro posizionamento?

Un Tu’rat è una enorme siringa che inietta acqua al suolo. E’ comunemente definito condensatore o captatore di aria umida, il suo posizionamento è ricavato dallo studio della direzione dei venti umidi in quel determinato territorio.
In che direzione sono posizionati i Tu’rat e quali sono i venti che intercettano?
Sono posizionati esattamente a 230° a Sud-Ovest e cioè di fronte al Libeccio, Il vento che nel Salento sud-occidentale è il più umido in assoluto, poiché partendo dalla Libia (da cui prende il nome) attraversa circa 550 miglia di mediterraneo e giunge in quel lembo di territorio praticamente carico di acqua, e andando a sbattere contro le pietre calcaree delle mezzelune e nei suoi interstizi, attraverso la fase di condensazione si producono pellicole di acqua dello spessore di 6/10 di millimetro che comunemente chiamiamo rugiada e che, attraverso l’escursione termica giorno/notte, percola nel terreno mantenendolo costantemente umido.
E’ necessario aggiungere che questo tipo di irradiazione della rugiada nel terreno avviene poiché una grande massa di pietre assolutamente a secco (senza aggiunta di leganti di nessun tipo) captano costantemente gocce di aria umida spinte dal libeccio ed anche dallo scirocco che giunge dal canale d’Otranto.
Puoi spiegarmi meglio come funziona il sistema di captazione?
Possiamo fare l’esempio delle reti del pescatore in mare aperto, nel momento in cui i pesci vanno a sbattere contro la rete è perché vi sono incappati sia che giungessero da un verso che dall’altro.
Detto questo Le Tu’rat hanno una facciata concava e verticale rivolta verso Libeccio e una facciata convessa detta schiena d’asino rivolta a scirocco e levante.

Le principali sorgenti di umidità per la formazione di rugiada sul suolo o sulla superficie dei tu’rat sono in particolare:
– umidità relativa
– velocità del vento
– ruvidezza della superficie
– raffreddamento superficie
la quantità massima è in autunno/inverno con notti limpide per via della abbondante umidità nell’aria.
Da prove di laboratorio si è visto che la quantità di acqua condensata è determinata a seconda del livello e del periodo di tempo a cui la temperatura della superficie solida scende sotto il punto di rugiada, dalla umidità contenuta nell’aria e dalla ventilazione.
Campioni di pietre esposte in campo aperto confermano quanto detto ma con alcune anomalie dovute alla porosità.
Il materiale con cui sono costruiti i Tu’rat è pietra di calcare (Pietra d’Alessano) a bassa porosità (< 1 %) e quindi con scarso potere assorbente di acqua vista la funzione a cui sono preposte. La “Pietra d’Alessano” confrontata ad altre tipologie di pietra, conferma la scarsa attitudine ad assorbire acqua. Questo tipo di calcare inoltre presenta un bilancio energetico negativo durante il raffreddamento notturno ragion per cui quando le condizioni ambientali sono favorevoli (cielo limpido, elevata umidità nell’aria) sulla loro superficie si deposita per condensazione uno strato di acqua che nel momento in cui la temperatura delle pietre scende sotto il punto di rugiada diventa goccia si stacca dal supporto calcareo e cade al suolo.
Una volta catturata l’acqua come viene utilizzata per l’agricoltura? I semi vengono messi dentro la struttura di pietra?
L’acqua di condensazione fornita al suolo dai tu’rat risulta utile sotto diversi aspetti:
a) innalza il livello della falda freatica sotterranea e quindi i capillari radicali sono meno soggetti a condizioni di stress idrico e di conseguenza si assicurano condizioni vegetative ottimali per le piante. Si evita il ricorso a prelievi idrici dal sottosuolo tramite l’ausilio di pozzi artesiani, essendo questa la pratica più ricorrente nella zona per ovviare al problema idrico. Tutto ciò ha un duplice effetto positivo dovuto al fatto che non si riportano in superficie i sali disciolti nella falda marina che si infiltra dalla costa (siamo a soli 3 km dal mare) e di conseguenza non si avvia la salinizzazione del suolo che è il preludio al fenomeno della desertificazione. Inoltre non alterando i volumi idrici del sottosuolo si evita il fenomeno della subsidenza, ossia dell’abbassamento del livello della crosta terrestre per i vuoti che si creano con l’emungimento freatico.
b) l’acqua di condensazione che si deposita lentamente nel terreno durante la notte o all’alba non provoca nessun effetto battente di gravità sulla struttura del terreno, tipico invece dell’azione delle piogge violente o dell’irrigazione per aspersione; da ciò ne consegue una limitata erosione del suolo e quindi si evita anche secondo questo altro aspetto l’innesco del fenomeno della desertificazione. In più le perdite di acqua per evaporazione sono molto contenute visto che l’acqua di condensazione percola nel suolo durante la notte.
Che colture pensate di impiantare, quali sono le più adatte?
Il progetto prevede una ricostituzione floristica della vegetazione sia spontanea che a vocazione agricola ad alto contenuto di biodiversità. La disposizione in sito delle piante prevede una razionale collocazione a ridosso delle strutture a secco in funzione delle esigenze climatiche delle specie piantumate, ad esempio le piante più sensibili alle basse temperature e a rischio di gelate invernali e primaverili verranno esposte verso il mezzogiorno riparate dalle mezzelune a secco.
Inoltre le piante a maggiore esigenza idrica saranno trapiantate ad una distanza minore dai condensatori di umidità dove il contenuto di acqua del suolo è maggiore.
Di seguito elenchiamo alcune tra le specie interessate all’operazione di piantumazione tra i muri a secco:
– Olivo varietà Cellina di Nardò e Ogliarola leccese, Fico, Gelso nero, Mandorlo, Albicocco, Melograno, Pistacchio, Fico d’India, Nespolo del Giappone, Agrumi, Pero, Cappero, Carciofo, Timo, Salvia
Al termine dell’operazione di piantumazione intorno ad ogni pianta messa a dimora si prevede la disposizione a raggiera di un cumulo di pietre atte ad assicurare un’umidità al suolo per condensazione e nel contempo a ridurre l’evaporazione di acqua per meglio favorire l’attecchimento radicale della pianta.

Di seguito un elenco di piante spontanee ed arbusti utilizzate nella zona prevista a vegetazione naturale:
– Leccio, Quercia coccifera, Quercia da sughero, Quercia vallonea, Cipresso comune, Carrubo, Acacia floribunda, Pino d’Aleppo, Eucalipto, Mirto, Alloro, Corbezzolo, Oleandro, Rosa selvatica, Rosa di macchia, Lentisco, Fico d’India, Rosmarino, Lavanda, Ginepro ecc.
Se ho capito bene i Tu’rat sono 12, quanto pensate di produrre?
Sono dodici per puro caso, altri possono esserne realizzati, il funzionamento equivale ai normali muretti a secco o ai giardini chiusi tipici del Salento, di Pantelleria o alle terrazze drenate della Liguria. C’è da dire che più la massa calcarea è grande, maggiore è la condensa che viene rilasciata al suolo. Ma soprattutto l’idea nasce in un territorio preciso quale il Salento per ordini di motivi legati alla assoluta assenza di fiumi o corsi d’acqua superficiali, un territorio a rischio desertificazione e con il maggiore tasso di emungimento di acqua per l’agricoltura selvaggia con colture scollegate dal territorio.
Conoscete altre esperienze analoghe?
Non conosco altre esperienze simili legate alla progettualità del territorio basate sul recupero delle acque attraverso i venti. Esiste una bella realtà sull’isola di Pantelleria dove secoli orsono fu creato il giardino Pantesco realizzato con muri a secco circolari con all’interno un agrumeto che si nutriva della sola umidità delle pietre e delle piogge. E poi in Israele mi pare di capire che vi sono realtà simili. Ma è pur vero che nella regione del Negev confinante con Israele iniziò la sperimentazione circa 9000 anni fa. Un’altra realtà tristemente nota è quella dell’isola di Pasqua quando gli ultimi abitanti accumularono grandi quantità di pietre a protezione di fazzoletti di terra nel tentativo vano di far germogliare le sementi che i venti oceanici spazzavano via data l’assoluta erosione che gli abitanti stessi avevano prodotto.
Quali sono le potenzialità del vostro progetto in termini di emancipazione e sostenibilità in Salento ed in Italia?
Come ho già accennato, progetti del genere nascono ed hanno senso di esistere in regioni e territori come la Puglia, parte della Sicilia e generalmente nei territori aridi ad elevato rischio di desertificazione, salinizzazione ed erosione del suolo.
Un progetto del genere non avrebbe senso in Emilia Romagna o in Piemonte che straripano di fiumi e corsi d’acqua.
Emanciparsi significa capire quali sono le regole del territorio in tutte le sue sfaccettature paesaggistiche, architettoniche, ambientali culturali etc.
Esempi di non rispetto delle regole in agricoltura ve ne sono tanti; uno per tutti gli impianti di irrigazione a goccia sugli ulivi. Noi l’Orto dei Tu’rat lo abbiamo definito un progetto pilota per il semplice motivo che un territorio come il Salento non può permettersi tanto dispendio d’acqua, quindi la scommessa sta nell’ irrigare l’orto con la sola acqua che viene dalla pioggia dai venti e dalle nebbie.
Nei decenni a venire saremo tutti costretti a fare i conti con la scarsità di acqua in maniera esponenzialmente vertiginosa.
Produrre acqua dai venti è una maniera utile per ricordarsi del luogo in cui si vive, dando dignità alla storia di questa terra e non forzare il braccio di ferro ed assoggettarla ai propri desideri.
I venti hanno tutti la stessa quantità di acqua? In caso negativo quali sono i venti che ne contengono di più? Esistono degli studi in merito?
I venti non contengono tutti la stessa quantità di acqua. Tutto cambia a seconda che una città regione o paese sia sulla costa o nell’entroterra oppure che un vento soffi dal mare o attraversi decine di chilometri di terraferma.
Facciamo un esempio, prendiamo Gallipoli che si trova sul litorale jonico. Il risultato è che il libeccio che spira da sud-ovest giungendo a Gallipoli arriva carico di umidità quasi bagnato, mentre giunge a Lecce con una percentuale di umidità leggermente minore.
Se invece ci dovessimo trovare ad Otranto ci accorgeremmo che è lo scirocco che spira da sud-est è più carico di umidità rispetto a quando giunge a Gallipoli.
Per approfondimenti e contatti: L’orto dei T’urat
Bibliografia:
Pietro Laureano, La piramide rovesciata
Jared Diamond, Collasso
