L’Italia è un paese in guerra. Chi ha letto Saviano lo ha capito da tempo. Probabilmente però guerra civile non è il termine corretto per delineare lo stato di sotterranea belligeranza che con quotidiana dirompenza infastidisce chi detiene il potere e risveglia quegli strati di società civile che alzano la testa solo quando il fatto è troppo ingombrante per essere ignorato.
Guerra civile significa scontro ideologico, due schieramenti in antitesi che si combattono spargendo sangue dei propri fratelli, è questo il caso italiano?
Sembra piuttosto che i morti per camorra, godano di un certo silenzio prima, dopo , durante le esecuzioni, e disinteresse diffuso, anche per i napoletani che convivono con il terrore. Il resto d’Italia ammicca condiscendente a non visionare le viscere di un percorso che sebben non visibile dai più, ha il potere di condizionare la vita di tutti, ogni illegalità apre un varco, uno squarcio, ogni violenza di clan, porta nuova violenza, e se non è violenza di strada diventa meno classificabile, ma sempre più omnicomprensiva.
A tutti i livelli le organizzazioni criminali qualificano l’Italia come un paese di clan: a tutti i livelli il potere decisionale dei boss rivela la necessità per taluni statisti di appoggiarsi elettoralmente al controllo territoriale garantito dalle multinazionali del crimine.
Lo scudo fiscale regala un esempio di come i clan arrivino a gestire le agende di stato, a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, e allora chi trarrà beneficio da questo strumento se non i clan i quali proventi, basati su spaccio, morti, rese dei conti, avvelenamento della vita civile potranno essere teneramente reinvestiti in paese. Il nero torna bianco, il rosso diventa sempre più scuro sul selciato.
Complimenti Fabrizio per il gran lavoro che stai facendo vai sempre avanti nel mondo c’è bisogno di gente che riaccenda le coscienze assopite.