
Le misure repressive adottate dallo stato dell’Arizona nei confronti dei residenti irregolari, rappresentano parte di una politica più ampia diretta al controllo degli immigrati.
Gli Stati Uniti, in questo campo, hanno fatto ricorso ad un’azione statale che si può considerare estrema. Si tratta di una lunga storia, che comprende alti e bassi. L’attuale fase d’azione massiccia dello Stato è incominciata negli anni ‘90 con Bill Clinton. Ma gli Stati Uniti non sono i soli. Alcuni dei più potenti Stati nel mondo: Inghilterra, Francia, Italia, hanno riorientato in maniera crescente grande parte delle loro burocrazie statali per controllare, scovare, fermare, internare e deportare gli immigrati più marginali e più vulnerabili.
Questi stati sono disposti a sacrificare leggi maggiori e minori e più in generale lo spirito stesso dello stato di diritto democratico, una delle più importanti conquiste della storia collettiva occidentale. In altre parole, hanno sacrificato le libertà dei loro cittadini con il presunto obbiettivo del controllo degli stranieri. Negli Stati uniti, il Patriot Act del 2001 autorizza la deportazione immediata di qualsiasi straniero, regolare o irregolare che sia, senza bisogno di prove e senza udienza; basta che il procuratore generale che dirige i procuratori distrettuali, lo consideri potenzialmente pericoloso. Inoltre, dopo il 2001 il Governo federale ha autorizzato gli stati a legiferare nel campo dell’immigrazione e, in seguito a questa novità, nel 2007 ci sono state 240 leggi e approssimativamente 1700 progetti di legge, numero che è aumentato a partire da quel momento.
23 stati negli USA hanno firmato un accordo con il governo federale per collaborare agli arresti. L’iniziativa delle autorità dell’Arizona di criminalizzare la residenza degli irregolari (diventata legge il 23 aprile) si situa quindi all’interno di questo contesto.
Quello che sta succedendo in Arizona dunque non è per nulla anomalo. Invece, la decisione di far diventare un crimine nella legislazione di stato il trovarsi negli Stati Uniti illegalmente e di obbligare la polizia di stato a interrogare gli individui sul loro status di immigrati sulle basi di un “ragionevole sospetto”, è parte di un panorama più grande che abilita i governi e le forze di polizia ad azioni che abitualmente sarebbero state ritenute come estreme e inaccettabili.
Sotto diversi punti di vista il controllo dei confini non ha funzionato. Non è questione di quanto pesanti siano i deterrenti o il budget utilizzato per il controllo dei confini, entrambi infatti hanno perso credibilità, sia riguardo ai cittadini sia nei confronti dei trafficanti (che hanno aumentato ampiamente le loro operazioni). L’organizzazione mondiale del lavoro (ILO) stima infatti che queste associazioni criminali abbiano fatturato nel 2006 ventinove miliardi di dollari grazie al traffico di esseri umani per l’industria del sesso, con un evidente forte incremento rispetto agli anni passati.

In questo processo, gli stati forti hanno reso visibili i limiti della propria forza ed evidente il fatto che non conta il grado di militarizzazione dei confini. Per esempio, il Governo USA ha saldamente aumentato il budget annuale per la sorveglianza del confine USA-Mexico, che è salito dai 250 milioni di dollari annuali dei primi anni ’90, sino al miliardo e seicento milioni di dollari annuali dei primi anni del 2000, e nonostante ciò si è verificato allo stesso tempo un raddoppio della popolazione senza documenti, che è cresciuta da una stima di 6 milioni sino a una stima di 12 milioni (vedi Border Battles: the US Immigration Debates, Social Science Research Council, 2010) [ma secondo altre fonti forse 13 se non 15 milioni].
Nel 2008, il budget del precedente Servizio immigrazione e naturalizzazione (INS, dal 2003 fa parte del dipartimento della sicurezza del territorio nazionale) è arrivato a 35 miliardi di dollari. Nel periodo dal 1986 al 2008, il personale impiegato nel pattugliamento del confine è aumentato da 3.700 a 18.000 agenti e il budget da 151 milioni a 7.9 miliardi. E ancora, i risultati ottenuti, se ci sono, sono sempre molto ambigui.
Tutte queste risorse sono state spese nell’ottica di controllare persone estremamente impotenti e vulnerabili, che nella maggioranza vogliono solo una chance di per lavorare (vedi Michele Wucker, “Don’t get immigration wrong – again”, 19/6/2006). Anche con quest’enorme discrepanza fra i costi etici ed economici di questo approccio per le “libertà democratiche” diventa nel lungo termine sempre più alta. Negli Stati Uniti, per esempio nel 2007-2008, 320 mila immigrati sono stati incarcerati senza processo solamente perché la burocrazia li ha considerati alla stregua di immigrati irregolari.
In altre parole, è più che probabile che fra questi 320 mila ci fossero in realtà persone di nazionalità americana.
Quando uno stato concede poteri arbitrari ai governanti e alle forze di polizia, prima o poi le pratiche del libero arbitrio mireranno i cittadini.

Saskia Sassen, 28 Aprile 2010
By http://www.opendemocracy.net/saskia-sassen/immigration-control-vs-governance
(Saskia Sassen è professore di sociologia alla Columbia University di New York e alla London School of Economics)