Il poliziotto è al servizio dei cittadini o è il servitore dello Stato? Nel paese delle riforme mai ottenute, delle riforme ottenute e mai applicate e delle riforme applicate ma a macchia di leopardo, chi sapeva che anche la Polizia di Stato nel lontano 1981 venne riformata?
Il Secolo 21 ne parla con Fabio Occhi segretario generale SILP CGIL della Liguria, che definisce la riforma della Polizia una riforma tradita.
Quali erano le linee guida della riforma 121/1981 ?
Occorre premettere che la 121 – nota come Riforma della Polizia, poiché al suo interno conteneva il provvedimento di smilitarizzazione e riarticolazione del Corpo delle Guardie di P.S. – in realtà fu una riorganizzazione profonda dell’intero sistema di Pubblica Sicurezza che individuava precise responsabilità, sino ad allora inesistenti ed impensabili, a livello politico e soprattutto un concetto di sicurezza più moderno e democratico. A livello di compiti istituzionali previsti all’art. 24 per la Polizia di Stato, ai desueti e fascisteggianti termini utilizzati dal Testo Unico delle leggi di P.S. -“Veglia al mantenimento dell’ordine pubblico”, “Tutela la proprietà privata”- venne sostituito il concetto di “esercita i propri compiti al servizio delle Istituzioni Democratiche e dei cittadini sollecitandone la collaborazione – tutela l’esercizio delle libertà e dei diritti”.
Veniva insomma individuato un nuovo concetto di sicurezza imperniato sulla democrazia e sui Diritti dei cittadini ed il contatto costante e virtuoso tra gli Organi di sicurezza dello Stato e la popolazione.
Lei pensa che tali principi abbiano avuto applicazione nella realtà?
Non v’è dubbio che per molti anni questi principi, pur nella perfettibilità e nella fallibilità di norme ed uomini abbiano funzionato aiutando il nostro paese ad uscire dall’incubo del terrorismo, che in quegli anni ha insanguinato l’Italia, ed assestando colpi formidabili alla criminalità comune ed organizzata.
Perché non v’è dubbio?
Nonostante i terroristi di allora colpissero le divise senza considerare gli uomini che le indossavano, quegli uomini – fortemente sostenuti soprattutto dal Sindacato Confederale – non caddero nell’errore che probabilmente i terroristi auspicavano: quello di rispondere con la violenza cieca all’attacco indiscriminato. Ma come tutte le norme – a maggior ragione una di rinnovamento – la 121 non poteva contenere in se ogni elemento per così dire accessorio che ne completasse e rendesse quotidiana la portata innovativa, ma doveva essere supportata da provvedimenti “di accompagnamento” che seguissero il solco tracciato dal Legislatore.
E così è stato?
Negli anni successivi, nella migliore delle ipotesi non è accaduto nulla – in alcuni casi è bastato non licenziare decreti attuativi, evitare di bandire concorsi interni – nella peggiore sono state fatte scelte da parte della politica che andavano in senso diametralmente opposto ai principi ispiratori della legge: come trasformare i Carabinieri in quarta Forza Armata o l’ultimo “Pacchetto Sicurezza” del Governo Berlusconi che rovescia di fatto i rapporti di forza tra Sindaco e Prefetto a favore del primo. Sempre questa maggioranza nel 2004 ha decretato che sino al 2020 per fare ingresso nelle Forze di polizia occorra giocoforza svolgere il servizio come volontario nelle forze armate, con buona pace della presenza femminile che – a causa dei diversi criteri di arruolamento – si è drasticamente ridotta. Solo l’8% di chi ha svolto il servizio militare come volontario ed ha scelto di transitare nelle forze dell’ordine è donna.
In mancanza di concorsi diretti, per diventare agente delle forze dell’ordine bisognerà fare la leva. E’ possibile che questa prassi incida nella costruzione di un corpo dall’impronta militarista?
Non v’è dubbio che il pericolo esiste. Io sono però convinto che – almeno per il momento – l’ossatura fortemente democratica voluta dalla 121 generi gli anticorpi necessari per sventare tale progetto, se esiste. Certo, come per la Democrazia in senso più ampio, il sentimento di rispetto dei valori costituzionali va costantemente alimentato e difeso dai tentativi di procedere per scorciatoie alla risoluzione dei problemi della società.
Dalle sue parole traspare che i principi del pacchetto sicurezza siano in contrasto con le linee guida della riforma 121, puoi spiegarci meglio?
Come ho accennato prima, se il pacchetto sicurezza licenziato dal governo Berlusconi venisse convertito in legge (si tratta di un Decreto che ha già suscitato diversi dubbi di Costituzionalità poiché non se ne scorgono le necessarie ragioni di urgenza), si assisterebbe di fatto al rovesciamento dei ruoli tra sindaco e Prefetto, assegnando al primo il compito di scegliere le strategie ed al secondo di adottare – senza possibilità di interdizione alcuna – le conseguenti iniziative. Come dicevo a proposito della 121 le parole utilizzate non lasciano scampo (purtroppo, in questo caso, in senso negativo) poiché la norma prevede che il Prefetto “dispone le misure necessarie” (e non, “può disporre”) al fine di assicurare l’attuazione delle direttive dei sindaci. Lascio alla fantasia dei lettori cosa potrebbe significare la possibilità di imperio di sindaci sulle forze dell’ordine come quelli che hanno partorito le ordinanze più disparate sul divieto di riunirsi in più di tre ai giardini pubblici, o di sedersi sulle panchine se si hanno meno o più di tot. anni o di chi ha infarcito una scuola pubblica di simboli di partito infischiandosene dei richiami del Capo dello Stato.
In che stato si trova la polizia italiana rispetto al cittadino che serve e alla criminalità organizzata che combatte?
Dal punto di vista delle risorse destinate alla sicurezza, l’attuale Esecutivo è sicuramente il campione dei tagli indiscriminati. Ad onta di una campagna elettorale condotta soprattutto sbandierando il tema della sicurezza (non della legalità, sarebbe opportuno sottolinearlo ogni volta) il Governo Berlusconi ha operato tagli lineari per circa 1 miliardo di Euro nel triennio 2009/2011, che vanno ad aggiungersi alle riduzioni di bilancio già previste da Prodi e dallo stesso Berlusconi negli anni precedenti, le quali ammontavano all’incirca al 20% di ogni capitolo di spesa.
Il risultato è ad esempio, ma non solo, la chiusura dei Commissariati, un parco auto costituito per la maggior parte da vetture con chilometraggi che superano quota 100 mila ed un’età media del personale che sta superando abbondantemente i 44 anni, età apparentemente bassa, ma quando devi fare una notte ogni cinque giorni, dopo 15 o 20 anni di servizio l’età comincia ad essere significativa e la stanchezza si fa sentire.
Uso legittimo della violenza ed abuso di potere. Come è possibile coniugare questi due aspetti del lavoro del poliziotto?
Innanzitutto chiariamo un punto: non esiste l’uso legittimo della violenza, che di per sé è un fenomeno negativo e non può essere ammantato di legalità. La legge infatti prevede l’uso della forza per respingere proprio una violenza o vincere una resistenza all’Autorità stessa. I termini non sono messi lì a caso, soprattutto quando si tratta di norme che incidono sui diritti individuali delle persone. Sgombrato quindi il campo da qualunque equivoco sul tema, va da se che – nel momento in cui l’Agente (o il Carabiniere, precisiamolo perché sennò ogni volta sembra che ad usare la forza sia solo la Polizia) ha ben chiaro il significato delle parole scelte dal legislatore – gli eventuali abusi si riducono notevolmente. A questo concorre in maniera determinante la vigilanza da parte della Dirigenza nel continuo richiamo alla mission che la Polizia ha, cioè prevenire e reprimere i reati, ma sempre nel rispetto dei diritti fondamentali. Ora però occorre fare una doverosa sottolineatura che non deve suonare come giustificazione per le violenze eventualmente commesse dalle forze dell’ordine ma diventa necessaria chiave di lettura:
se la politica abbandona il proprio ruolo, se le Istituzioni deputate ad occuparsi di certe questioni latitano e si lascia la Polizia a fronteggiare ogni evenienza, ogni emergenza, con gli strumenti propri dell’Ordine Pubblico, cosa ci si può aspettare che accada? Se il concetto stesso di Autorità ed Autorevolezza delle Istituzioni viene messo in dubbio dai comportamenti pseudo-privati dei politici di prima fila, se il principio che i nostri Padri hanno inculcato in ognuno di noi circa il rispetto che si deve avere a prescindere per chi rappresenta lo Stato (non solo poliziotti ma anche insegnanti ad esempio), mettendo sempre in discussione – spesso in maniera sgarbata ed aggressiva – ogni provvedimento e decisione invece che avvalersi degli strumenti legali per opporvisi, come si può pensare che la frustrazione degli operatori non rischi di esplodere incontrollata?
Alessandro Chiarelli (segretario provinciale del SIAP di Ferrara) afferma in merito al caso Aldrovandi: “Ancora di più dispiace che tutto il resto sia rimasto uguale. Perché uguale è l’impreparazione specifica dei poliziotti ad affrontare le situazioni di violenza. Non hanno, non abbiamo il minimo addestramento fisico e non abbiamo neppure l’idea di come gestire emotivamente le reazioni e lo stress di uno scontro fisico. Ci si arrangia, ognuno come può. Anche le dotazioni sono rimaste quelle. Mitragliatori, pistole e manganelli. Eccola qua la scelta degli strumenti per vincere una resistenza. La polizia di una potenza occidentale.[…]pensare che lo Stato non ha fatto niente di concreto per aiutare la polizia italiana a migliorare se stessa.”. Cosa ne pensa di queste dichiarazioni, lo Stato ha abbandonato i poliziotti al proprio lavoro?
Non concordo sulla mancanza di addestramento fisico, non già perché per la mia esperienza mi risulti che viene effettuato, ma perché credo che per quanto ho detto a proposito di coazione fisica, la violenza debba essere assolutamente un’ipotesi estrema e comunque utile a cristallizzare una situazione di pericolosità per gli operatori o per le vittime del reato. Diverso è invece il ragionamento se si sottolinea che la formazione del personale in Polizia non è considerato una risorsa e/o un bagaglio per valutare positivamente i dipendenti. La formazione permanente che in altri settori lavorativi è una parte fondamentale delle politiche aziendali da decenni, da noi è come parlare di un viaggio su Marte. Circa gli strumenti inadeguati è ovvio che appare come un vuoto lamento e per certi versi anche fuorviante se decontestualizzato dal panorama di tagli indiscriminati del Governo Berlusconi dapprima ricordati.
Come si può pensare che un Governo che non stanzia soldi per autovetture, nuove assunzioni (tranne il reintegro dei pensionandi, ma in una situazione di grave carenza degli organici), manutenzioni ordinarie ed addirittura stipendi ed indennità possa immaginare di investire risorse per fornire nuove armi o diversi strumenti di coazione e relativa necessaria formazione?
Quando indosserete la placchetta individuale in evidenza sulle divise con un numero di riconoscimento durante i servizi di pattuglia e ordine pubblico?
Io credo sinceramente che se la politica tornasse a fare il proprio mestiere e la smettesse di lasciare gestire alla Polizia tutte le tensioni sociali che ha contribuito a creare essa stessa con la sua assenza, o peggio scientemente agitando spauracchi e creando nemici pubblici, il tema sulla riconoscibilità dei poliziotti in servizio potrebbe essere affrontato e risolto serenamente. I poliziotti onesti sono la maggioranza e non hanno bisogno di nascondersi sotto un casco né temono di essere individuati, perché sanno fare il loro mestiere con misura e capacità che spesso son ben oltre superiori a quanto può apparire perché, non lo ripeteremo mai abbastanza, sono centinaia ogni giorno le occasioni in cui un’azione di Polizia si svolge senza problemi e non fa notizia – com’è giusto che sia – anche quando le condizioni in cui si è svolta erano davvero difficili e nessuno – spesso nemmeno i Poliziotti, che ormai ci sono abituati e ne sono stati protagonisti – se ne accorge.