La logica perversa del carcere.

Quando inizi a interessarti di carcere, bisogna sempre ricordarsi di non finire imprigionati nella logica perversa che governa tale realtà. Anche se fiduciosi di avere uno sguardo imparziale, lentamente la deriva causata dalla logica perversa del carcere rende inefficace e ridimensiona anche gli approcci più obbiettivi.

A Marassi il sovraffollamento è strutturale, in particolare nella prima sezione dove sono reclusi i detenuti in attesa di giudizio: più della metà del totale.

Il carcere si può vedere attraverso tanti punti di vista.

Detenuto, agente, educatori, medici, assistenti sociali, direttori e comandanti e giudici. Ogni punto di vista rispetta e rappresenta l’immagine che ciascuno ha, riguardo cosa è e cosa dovrebbe essere questo luogo. Il coro di queste visioni delineano quello che il carcere effettivamente è giorno dopo giorno.

Il detenuto, primo gradino su cui tutti poggiano, colui che paga a se stesso e agli altri il debito delle proprie azioni, spesso a causa della logica perversa del carcere ( le pene accessorie che trascendono i limiti della pena stabilita dalla Legge) sviluppa sentimenti di rivalsa ed un senso di credito nei confronti della società.

Foto di Sabrina Losso.

Gli agenti, secondo gradino su cui quasi tutti poggiano, coloro che per mezzo del proprio lavoro rendono effettiva e intransigente la punizione che la società emana. Le loro azioni spesso abbruttite dalla logica perversa del carcere, sfociano in atti che trascendono i compiti formali. Poliziotti con un senso di inferiorità rispetto alle altre forze dell’ordine, spesso abusano del loro potere per rivalsa e frustrazione. Lavoro umiliante, snervante e mal pagato. Organici assolutamente inadeguati.

Educatori, curano l’oliatura dell’apparato burocratico/ penitenziario, hanno colloqui con persone che sono numeri, la mole di lavoro non consente tempo per approfondire oltre lo stretto necessario.  Strumenti delusi della rieducazione inficiata dalla logica perversa del carcere.

Agenti della polizia penitenziaria. A Marassi di notte un agente si occupa di 180 detenuti. Foto di Sabrina Losso.

Considerando che la prigione produce malattia nell’uomo in cattività, i medici, il lato umanitario ed altruistico, si scontrano con la logica perversa del carcere, il lato repressivo/ securitario ha più importanza e l’assistenza medica in galera diventa un breve sollievo, un lenitivo temporaneo ad ampie ulcere dalle tempie allo stomaco.

Assistenti sociali, colleghi liberi degli educatori, lavorano all’apparato burocratico esterno, i loro pareri influiscono sulle possibilità di reinserimento, i loro mezzi sono pochi, pesanti e faragginosi. I loro sforzi convergono nel frangiflutti che si crea fra la logica perversa del carcere e un mercato del lavoro che non concede alcuno spazio a ipotesi di buonismo, speranze o progetti di vita per un ex detenuto.

Direttori e Comandanti, pezzi da novanta, cavalli di razza brillanti e preparati o col pelo sullo stomaco dopo una vita di servizio, coordinano, dirigono si prendono le responsabilità, hanno una vita pubblica ed una privata, la logica perversa del carcere spesso sottrae ingratamente l’una alla seconda e viceversa.

A monte della logica perversa del carcere stanno i giudici e le loro sentenze, non sapranno mai cosa ha negli occhi un imputato, condizionati inevitabilmente dall’opinione pubblica, riservano a se stessi un margine interpretativo decisionale per salvaguardare l’autorità personale dalle nemesi coi codici.

Le precedenti figure del mondo del carcere sono stereotipi, ruoli prestabiliti, nella realtà, ogni individuo declina attraverso la propria umanità un compromesso tra se stesso e la logica perversa del carcere.

Per approfondimenti leggi anche:

Pianeta Carcere, quando lo Stato evade le regole. Di Fabrizio Dentini

Parlare di carcere nel Belpaese. Di Fabrizio Dentini

La libertà non è uno spazio libero. Di Vincenzo Andraous

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3 risposte a “La logica perversa del carcere.”

  1. Argomento interessante e probabilmente, data l’intima correlazione con la burocrazia italiana, uno dei principali fattori di nebulosità e lentezza del sistema e, conseguentemente, di scontento generale del cittadino nei confronti dell’ordinamento.

    Sull’argomento mi permetto di segnalare un bel film di Alberto Sordi del 1984 intitolato “Tutti dentro”, pellicola che anticipò l’inchiesta “mani pulite” e che mostra il carattere psicotico, spesso ingiusto o addirittura incomprensibile, della macchina burocratica italiana (nella fattispecie principalmente dal punto di vista processuale, ma non solo); emblematica una frase che il protagonista dice ad un certo punto dell’iter: “ma che almeno l’ingiustizia sia uguale per tutti!”…

    1. Grazie della segnalazione, la burocrazia sviluppata nei paesi occidentali è uno strumento necessario al funzionamento della macchina statale centralizzata. Nel caso italiano assume proprietà grottesche ed estremamente dannose per il regolare svolgere della quotidianità del cittadino nel relazionarsi all’interfaccia statale. Un altro aspetto interessante da sottolineare è il ruolo della burocrazia nel creare e mantenere una cortina insormontabile di procedure e prassi nell’accedere della cittadinanza alla macchina pubblica, mi riferisco al silenzio burocratico, la reticenza di tanti gangli del sistema (umani e procedurali) a divulgare informazioni e le pressioni dalle gerarchie affinché non vengano diffuse. Nel caso del carcere ovviamente le conseguenze del libero cittadino sono amplificate e drammatizzate per il detenuto

      La invito a continure a seguirci e a proporre le sue riflessioni.

      Fabrizio Dentini

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