Jean-Léonard Touadi, quando l’immigrato va in Parlamento.

Jean-Léonard Touadi

Essenzialmente non è il colore della pelle a determinare il proprio destino. Jean-Léonard Touadi ne è un esempio. Nel ventunesimo secolo questa non è più una verità insindacabile. Certo però la propria origine resta la carta di identità più esplicita per il giudizio e pregiudizio del prossimo nel costruire rispetto agli altri e tramite il rapporto con l’altro, i termini concreti della traiettoria per ogni esistenza umana.

Con Jean-Léonard Toudi, parlamentare del Partito DemocraticoIl Secolo 21 parla ovviamente di immigrazione, futuro e attualità, cercando di capire se possa esserci un equilibrio -e di che tipo- tra il fatto di essere un immigrato che siede nel Parlamento (assolutamente promettente per l’avvenire e lo sviluppo della società italiana) e le normative razziste e discriminatorie sfoderate proprio dalla medesima istituzione.

Lei pensa che l’Italia sia un paese dove vige una sorta di razzismo istituzionale, che l’attuale legislazione discrimini fra chi è italiano e chi è giunto in Italia per un progetto migratorio? Quali sono le conseguenze di tale approccio e i suoi aspetti più gravi?

Purtroppo esiste un razzismo istituzionale, dato da leggi introdotte negli ultimi anni, basti pensare alla difficoltà nell’ottenere i permessi di soggiorno o la cittadinanza. Pensiamo anche all’enorme problema dei ragazzi nati e cresciuti in Italia, figli di immigrati che al diciottesimo anno di età rischiano di dover tornare nel paese dei propri genitori, del quale spesso neppure conoscono la lingua. E’ una discrimanzione enorme e ingiusta. Poi ci sono tanti piccoli razzismi, tanti provvedimenti presi dalle amministrazioni a livello locale (sull’ accesso alla sanità, alla scuola, alla casa) che nel complesso vanno ad incidere sulla vita di tanti immigrati che risiedono in Italia, in un modo che può essere definito razzista e discriminatorio.

Cosa ne pensa dei CIE ex CPT? Non le pesa che siano stati inventati dalla compagine politica della quale lei fa parte?

I CPT sono stati introdotti come misura necessaria per l’ingresso dell’Italia nel patto di Shengen; sono purtroppo poi diventati luoghi di non diritto, in cui la sproporzione tra la pena e il motivo per cui si è lì è inaccettabileSi tratta di persone che non hanno commesso reato che vengono trattate paradossalmente molto peggio dei veri delinquenti, senza poter avere contatti con il mondo esterno.

A Genova dichiarò che bisogna superare i CIE e chiuderli, con che argomentazioni pensa di convincere i politici del PD a intraprendere questa direzione?

Facendo capire che quell’approccio all’immigrazione ha provocato più danni che altro e che bisogna trovare dei nuovi modelli a cui far riferimento con cui si possa conciliare rispetto dei diritti umani ed efficacia.

A suo parere perché la diplomazia straniera presente in Italia non svolge azione di lobby politica per tutelare gli interessi dei cittadini dei propri stati?

Nel caso di molti paesi da cui provengono soprattutto rifugiati e richiedenti asilo, è ovvio che spesso si tratta di diplomazie allineate a regimi non democratici, e che spesso sono ostili ai cittadini rifugiatisi in Italia. Nel resto dei casi, purtroppo la diplomazia africana non può essere sempre definita attenta ed efficiente; ci sono però dei casi in cui le ambasciate si occupano dei propri cittadini e della diaspora Africana in generale. Conosco meno i casi degli altri continenti.

Nell’Italia di tutti i giorni si verificano purtroppo numerosi episodi di intolleranza e razzismo. Essendo il Parlamento lo specchio della società italiana, lei ha dovuto soffrire episodi del genere durante la sua attività? Come si relazione alla compagine leghista? E’ possibile un dialogo sereno con chi promuove campagne di odio contro gli stranieri?

In Parlamento non ho mai subito episodi di razzismo, in generale ho rapporti cordiali e civili con i miei colleghi leghisti con cui cerco sempre di avere un dialogo, per questo mi ha molto colpito l’attacco avuto da “La Padania” alla fine dello scorso anno.

Lei è membro, dell’Osservatorio della Camera dei deputati sui fenomeni di xenofobia e razzismo. Che scopo ha tale Osservatorio, quali sono i casi più emblematici che vi sono stati sottoposti? Lei non pensa che un tale Osservatorio dovrebbe vigilare anche sulla legislazione in tema di immigrazione?

L’attività dell’Osservatorio è partita da poco e spero non si riveli uno dei soliti enti inutili e poco significativi che spesso vengono creati.  Finora abbiamo audito alcuni rappresentanti di organismi pubblici e associative, più che esaminare direttamente dei casi.

Che ne pensa del click day, ossia della sanatoria, attraverso un decreto flussi, che evita per l’ennesima volta di riconoscere la stragrande maggioranza dei cittadini stranieri irregolari?

I cosiddetti click day sono il segno dell’incapacità di gestire il fenomeno dell’immigrazione, sono una pratica barocca e complicata che di fatto impedisce l’incontro tra offerta e domanda di lavoro. Uno strumento che costringe molte famiglie e imprese alla finzione della chiamata diretta dall’estero e con notevoli esborsi di denaro, di tempo e di dignità.  Questo sistema è tra l’altro spesso causa di truffe ai danni di chi vuole regolarizzarsi, un fenomeno sempre più accertato e del quale sono gli immigrati sono vittime due volte: quando vengono truffati e quando vengono espulsi per non essersi regolarizzati poiché lo stato non li riconosce come truffati. Ho denunciato più volte al governo l’infiltrazione di organizzazioni criminali che operano nel più che lucroso “mercato” delle finte pratiche per la regolarizzazione, ma sembra che il ministro Maroni sia sordo a questo problema.

Jean-Léonard Touadi, visto da Enrico Sanna.
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