
Italia 31 marzo 2010. La campagna elettorale è terminata con il suo lascito di promesse, prese di posizione e alleanze. Le elezioni ci sono state (esercizio sostanziale di democrazia rappresentativa) e i professionisti della politica snocciolano le loro considerazioni. Vinti e vincitori atteggiano i principi e ne divulgano le circostanze; agli elettori, adesso, resta solo la facoltà di provare con mano ciò che hanno scritto nell’intimità della cabina elettorale.
Tutto quindi procede con regolarità, il peso politico delle due coalizioni è stato deciso dai cittadini, che hanno promosso e bocciato, credendo o smentendo le prese di posizione pubbliche dei loro rappresentanti. La domanda sorge adesso fisiologicamente: dalle parole che crescono attorno alle riflessioni sul mondo politico, che Italia esce fuori dopo queste elezioni?
Un’Italia divisa e contrapposta, un’Italia che in parte rivive la storia del novecento in chiave moderna e, senza tempo per l’approfondimento critico, si rivolge al futuro con uno stuolo di scheletri d’armadio pronti a uscire sul palcoscenico come un pensiero al quale non si vuol pensare che torna ad assillare in tempi non propizi. Fascismo moderno, rapporto Stato-Chiesa, rapporti fra servizi segreti e stragi di stato, stagione del pentitismo e valore delle verità raccolte, il disegno piduista e le trame eversive.
Insomma, l’Italia è quel paese dove i politici prendono decisioni su argomenti protetti dal segreto di Stato, che restano quindi al di fuori del controllo della società civile. Non si sa mai chi sia l’oste al quale domandare il conto.
Ma torniano al 2010.
Meglio di qualsiasi sondaggio le elezioni restituiscono al popolo italiano la corretta dimensione all’interno della quale diventa lecito sperare un’evoluzione della società, l’orizzonte del cambiamento auspicato tramite delega, un nuovo stimolo a compiere il tragitto che emancipi il paese e lo conduca a pieno titolo nel XXI secolo.
La realtà però è quanto di più lontana da queste aspettative.
Tenendo conto che ogni partito in nuce è totalitario, cioè tendenzialmente cerca di sviluppare la propria influenza su tutti gli elettori, quali sono i partiti che risultano vincitori di queste elezioni?
Lega Nord e Italia dei Valori che consolidano le loro posizioni di potere all’interno delle rispettive coalizioni e il movimento di Grillo che, come una ventata d’aria, prova a sparigliare le carte ai professionisti della delega.
Come afferma nel suo articolo Roberto D’Alimonte mentre la Lega è stata votata da 2.749.874 cittadini ottenendo storicamente la gestione del Piemonte, il partito di Di Pietro cresce come puntello di un centro sinistra snaturato e perduto salendo a quota 1.564.693 elettori. A loro si affianca con la forza della novità, il movimento a 5 stelle che, presentandosi in sole 5 regioni, raggruppa 390.097 elettori.
Questi sono gli italiani che per un verso o nell’altro vedono in queste compagini gli attori papabili per un cambiamento del paese, una trasformazione che imponga delle priorità che si stacchino dal chiacchiericcio e dal gossip che distingue il mondo politico nazionale.
Nel bene e nel male questi elettori hanno focalizzato le loro preferenze attorno a quei gruppi che sembrano dimostrare una reale intenzione di cambiamento, e con diverse gradazioni e diversa abilità, Umberto Bossi, Antonio Di Pietro e il movimento di Grillo, incarnano questa discontinuità. Populisti? Certamente, soprattutto Di Pietro che ha gioco facile ad apparire intransigente quando i suoi alleati sono troppo timorosi per incidere sull’anomalia italiana ( il conflitto di interessi docet) e mentre Bossi parla davvero agli italiani, poi cosa dice ognuno lo giudichi secondo i suoi parametri, a Grillo va il merito, per nulla scontato, di denunciare un malcontento inespresso che trova forma nel rifiuto della politica per come l’abbiamo conosciuta da quando per andare in Parlamento una condanna in giudicato, prescrizione o in attesa di giudizio è diventata ottimo biglietto da visita per i salotti romani.
Queste coalizioni di interessi e ideali sono espressione della mancanza di una prospettiva per lo sviluppo del paese, gli altri movimenti politici infatti, non danno garanzie circa la reale possibilità di invertire una tendenza che condanna tutti quanti al baratro dell’inadeguatezza di fronte alle sfide del XXI secolo: la rioganizzazione dell’apparato produttivo nell’ottica globale, la salvaguardia del lavoro in un contesto in cui diritti dei lavoratori sono visti come concetti superati, la rincorsa tecnologica e la ricerca, in un paese dove i ricercatori vivono grazie ai fiori venduti in piazza la domenica, le mobilità umane che cresceranno e si dovrà capire come gestirle al meglio, per evitare di aggiungere danni a quelli già commessi in passato e su cui si basa la storia dello sviluppo capitalistico occidentale.
Il tempo sprecato è stato molto, il tempo per reimpostare le direttive principali di sviluppo è sempre più esiguo, e mentre in tutto il mondo le più grandi nazioni si muovono per reagire alla crisi del sistema, l’Italia è un paese al palo, se non palesemente allo sbando, in mano ai criminali fuori e dentro le istituzioni. In questo momento, la responsabilità di parlare chiaro fuori dai fumi della propaganda elettorale è vitale per i cittadini: votato si è votato, e mentre la rabbia cresce e il malcontento dilaga, vedremo se ancora una volta sia stato scelto quel che ci meritiamo.