
Il XXI secolo è cominciato ormai da un decennio e il volgere di tale ricorrenza porta l’italiano contemporaneo a riflettere sulla natura del paese in cui vive.
Pasolini, nel dopoguerra, raccontava un’Italia che, vendendosi al ritmo inesorabile dell’incalzante avvenire, avrebbe a breve smarrito se stessa. La società del consumo gettava allora le basi del proprio sviluppo, l’economia di massa diventava il principio regolatore della vita civile e il benessere si diffondeva nelle case degli italiani. E pur tuttavia questa società avrebbe, nelle predizioni dell’intellettuale, a breve smarrito se stessa. Avrebbe perduto il secolare legame con la cultura rurale e contadina, in nome di un conformismo e di un urbanesimo proni alla logica di un consumo omogeneo e standarizzato. Passati gli anni che sono, Pasolini nel 2010 è un nome per pochi, le sue riflessioni non hanno raggiunto un dispiegamento di massa e il giovane italiano medio non è stato preparato dall’educazione scolastica a confrontarsi con quella constatazione. Nessuno lo conosce oggi come nessuno lo ascoltò allora. E il consumismo è stata la risposta azzeccata, per integrare le masse diseredate di allora alla retorica di un nuovo paese dove non sarebbe mancato più nulla.
Analizzando gli avvenimenti del primo decennio del XXI secolo, l’attualità delle riflessioni pasoliniane assume un connotato veritiero, quando non espressamente profetico. L’Italia e gli italiani si sono persi. Il dibattito pubblico sterile, senza stimoli culturali adeguati, si attorciglia sopra di sé, generando discussioni feticce alle quali partecipano, per altro accaniti, solo gli esponenti del ceto politico. Lo stesso ceto politico che si ripropone da mezzo secolo sino ad aver assunto sembianze grottesche.

Camilla Cederna in un suo articolo risalente agli anni sessanta affermava: “ Mi dicono che sta male, soffre di senescenza, sclerosi, asfissia ed elefantiasi, non solo, ma di anemia, di grave impoverimento organico, disfunzioni varie (impotenza compresa), e di multipli fenomeni degenerativi. Ma non basta ancora: è assolutamente dispeptico, perché digerisce soltanto sostanze già digerite, quindi, ultima disperante notizia, la paralisi lo affligge” Di chi mai si parla? Del Parlamento italiano.
Sono passati cinquant’anni insomma e questo affresco immortala con smaliziata ironia una situazione che si è cristallizzata nel tempo. Non un alito di vita, non un’intempestiva reazione. Il Parlamento italiano soffre ancora di queste malattie incurabili. Uomini del XIX secolo che rassomigliano a pachidermi in via d’estinzione e che ci latrano costantemente la loro stessa inadeguatezza. E la nostra futura estinzione come popolo civile. Il centro destra, il centro sinistra, figure politiche istituzionali che hanno troppo spesso tradito la fiducia nel loro mandato, consegnando l’Italia in mano a banditi di ogni livello. La classe politica italiana ha lasciato che il paese crescesse per crescere, sviluppasse ricchezza senza capire dove ci avrebbe portato. E mentre mancava un’efficace pianificazione globale degli interessi nazionali, la progettazione dell’interesse particolare ha assunto un connotato collettivo, divenendo l’ideologia del progresso a beneficio delle tasche di pochi, nello spazio insindacabile di tanti accordi taciuti. Sulla testa di tutti.
E i giovani hanno altro a cui pensare. Oltre la costernazione e il disinteresse con i quali guardano i propri presunti portavoce, la loro vita scorre in direzione inequivocabile verso un disastro annunciato. Debito pubblico, corruzione, sprechi di denaro, burocrazia padrona, mala amministrazione, collusioni mafiose a tutte le sfere e vita pubblica avvelenata da introiti poco chiari e di origine criminale. E poi ancora, disoccupazione, precarietà, mancanza di prospettive: nel XXI secolo è cieco o vigliacco chi non riconosce apertamente di vivere in un paese dove il denaro delle organizzazioni criminali, profittevoli anch’esse, e ben più degli altri, dei benefici della globalizzazione, conducono la nostra democrazia verso orizzonti sempre meno invidiabili, verso pantani dove l’amalgama fra il legale e l’illegale ha assunto lo stesso gradiente. Pantani infetti che non potranno essere sanati perché strutturalmente legati al fare politica all’italiana. Un compromesso originario con poteri più e meno espliciti, un’alleanza sacrale che preserva un paese che era pieno di vita da ogni possibile ritorno a se stesso.
E in questo contesto la paura gioca un ruolo assoluto. E come italiani abbiamo paura di tutto. La minaccia sembra poter arrivare da ogni nostro prossimo simile. Le retorica dell’odio viene fomentata e smentita, cavalcata e messa fra parentesi solo quando l’odio si riversa sopra le istituzioni. E purtroppo i politici più scaltri e adesso più in voga fanno gioco imprudentemente su questa condizione di debolezza psicologica, suonando melodie di non lontana memoria. Eravamo per l’appunto poco prima della II guerra mondiale. Le stesse melodia venivano suonate allora. E tutti ne conosciamo le conseguenze. Perché l’odio non paga.
Ottimo articolo, a cui mi permetto di aggiungere questo scritto pasoliniano (pubblicato su Vie Nuove) ugualmente lucido e premonitore, a mio avviso.
Il fascismo, ora
di Pier Paolo Pasolini
“L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.
[…]
Non esiste solo il potere che si esercita nelle decisioni, ma anche un potere meno visibile che consiste nel fatto che certe decisioni non sono neanche proposte, perché difficili da gestire o perché metterebbero in questione interessi molto stabili.
La grande differenza tra i valori proclamati e i valori reali della società, l’omologazione, fanno pensare veramente a una società totalitaria. Quello che importerà nel futuro sarà il comportamento della più grande forza mai conosciuta: la massa omologata dei consumatori, la stragrande maggioranza degli esseri umani, non più l’ingegno delle élites culturali o le attività dei politici.
L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre.
Una visione apocalittica, certamente, la mia. Ma se accanto ad essa e all´angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare”.
alfredo@anche.no
Ottimo articolo, a cui mi permetto di aggiungere questo scritto pasoliniano (pubblicato su Vie Nuove) ugualmente lucido e premonitore, a mio avviso.
Il fascismo, ora
di Pier Paolo Pasolini
“L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.
[…]
Non esiste solo il potere che si esercita nelle decisioni, ma anche un potere meno visibile che consiste nel fatto che certe decisioni non sono neanche proposte, perché difficili da gestire o perché metterebbero in questione interessi molto stabili.
La grande differenza tra i valori proclamati e i valori reali della società, l’omologazione, fanno pensare veramente a una società totalitaria. Quello che importerà nel futuro sarà il comportamento della più grande forza mai conosciuta: la massa omologata dei consumatori, la stragrande maggioranza degli esseri umani, non più l’ingegno delle élites culturali o le attività dei politici.
L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre.
Una visione apocalittica, certamente, la mia. Ma se accanto ad essa e all´angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare”.
alfredo@anche.no