Rigore, crescita ed equità. Quando il gatto gioca con il topo nessuno si lamenta per l’asimmetria di potere messa in atto nella loro relazione: il gatto sa che fine farà il topo e quest’ultimo si limita a far parte di un gioco nel quale il suo ruolo è quello della vittima designata. E’ l’ineluttabilità della vita naturale.
Questa stessa ineluttabilità par si possa applicare alla situazione politica nazionale.
L’Italia di novembre e dicembre, i rapporti fra esecutivo, Parlamento e società civile, ricordano proprio la dinamica del gatto e del topo. Una recita dove le parti in causa si rincorrono nella danza democratica dell’equilibrio, reciproco, dei rapporti di potere.
Niente di strano dunque, ma una prassi maturata in 60 anni di democrazia.
Il meccanismo sembra però vacillare se si analizza il peso che la società civile italiana riveste all’interno di questa rappresentazione, un peso residuale e di tutta marginalità.
La società civile italiana insomma non ha la forza di mettere i suoi rappresentanti di fronte alle loro responsabilità (anni e anni di colpevole utilizzo del bene comune) esautorandola di ogni legittima autorità per proporre un rinnovamento reale della classe politica, e così, la tela del ragno della manovra “Salva Italia” si tende, nonostante le priorità individuate in settimane di dibattito pubblico, a sfoltire le tasche del cittadino medio.
Taglio dei costi delle politica, vitalizi, auto blu e soprattutto drastica riduzione del numero dei deputati, rilancio del paese che passa attraverso nuove e concrete opportunità per i giovani, lotta all’evasione fiscale e un’attenzione fondamentale per la riforma del mercato del lavoro. Che se deve essere flessibile deve prevedere dei meccanismi di tutela per chi questa stessa flessibilità la vive nel quotidiano alternando disoccupazione a occupazione precaria e lavoro nero.
Su tutto questo Monti si è mosso davvero poco.
Diceva Kapuscinski, nel suo libro sulla vita del Negus d’Etiopia, che con il popolo bisogna adottare la legge dei due sacchi: mai caricare sulle sue spalle due sacchi contemporaneamente, sempre mettere prima uno e poi l’altro in modo che il peso complessivo non venga percepito subito nella sua interezza, ma dilazionato in due tempi e quindi reso più accettabile. Questo popolo è come una massa informe senza la forza politica di discernere quanto la teoria dei due sacchi costituisca il più grande scacco alla propria autonomia. Prima o dopo infatti sempre due sacchi si portano.
In Italia oggi la situazione è un pò la stessa: sull’incudine del debito pubblico e col martello del consenso bipartisan accordato al Premier Mario Monti, si forgia una manovra che grava sui settori della società che meno riescono a far valere le proprie istanze. I forti, tutelati dalle pressioni lobbistiche esercitate attraverso le cricche parlamentari ed i deboli a caricarsi prima il debito, e poi la manovra anti debito.
E così, come afferma T. Piller sul Frankfurter Allgemeine Zeitung:
[…] Alla luce dell’enorme debito pubblico da 1.900 miliardi di euro, Monti avrebbe potuto essere un pò più coraggioso. L’approvazione di un’ulteriore imposta una tantum [ la patrimoniale NDR] per gli italiani più ricchi sarebbe stata utile per abbattere il debito. Ma potrebbe essere approvata anche in futuro, se il governo Monti decidesse di riformare il rigido mercato del lavoro italiano e se avrà bisogno di una riforma che vada incontro ai sindacati e alla sinistra. Ora la cosa importante per l’Italia è che Monti vada avanti con il suo lavoro e rompa molti tabù. Perché presto i politici della vecchia guardia vorranno tornare a servire le loro clientele.
Non esiste cambiamento sinché i vecchi assetti di potere avranno la forza di tornare a domandare con arroganza la salvaguardia dei privilegi che stanno affondando il paese.
Parlando delle recenti manifestazioni di Mosca, in una Russia ben poco democratica, Viktor Erofeev afferma sulle colonne della Repubblica:
[la società civile NDR] invece di lanciare astratti appelli alla libertà e proteste contro il regime, si è avvicinata responsabilmente al proprio compito: subordinare il potere alla sua volontà, fare in modo che debba renderle conto del suo operato.
In Italia nonostante esistano mille piattaforme rivendicative, dai sindacati, più e meno confederati, ai movimenti, agli indignati, agli esausti a chi più ne ha più ne metta, questo scatto di consapevolezza e responsabilità non sembra essere possibile. Non esistono le condizioni grazie alle quali la società civile possa ricoprire la parte che le spetta nelle dinamiche esistenti fra potere esecutivo e potere legislativo e sinché non avverrà una saldatura fra le varie anime non istituzionali che si oppongono alle sperequazioni dello status quo, ogni manovra verrà fatta sopra la testa dei lavoratori: insomma, il solito topo che si affida alla benevolenza del suo carnefice.
Quanto più lunga sarà l’agonia tanto più ci sembrerà naturale ed inevitabile.
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