I lavoratori del Carlo Infelice e i precari della ricerca.

Queste sono le voci dei lavoratori del Carlo Infelice e dei ricercatori precari dell’Università, che riuniti ieri sera a De Ferrari, (figurati la crisi che sodalizi crea, teatro e ricerca) hanno alzato la testa per protestare contro lo stato impressionante di abbandono nel quale sono entrambi lasciati dalle istituzioni. Ai primi è stato detto, dal non è vero che è tirchio Garrone, che devono limitari i propri privilegi, i secondi invece vivono grazie alla raccolta di fondi nelle piazze, alle offerte dei cittadini e senza un degno finanziamento pubblico.

Situazione ottimale insomma. Perché l’Italia è uscita dalla crisi.
Le voci sono state raccolte a caldo.

Margherita Monti, ricercatrice presso la facoltà di Ingegneria.

“Ormai sono anni che i finanziamenti sono sempre più esigui e con la nuova finanziaria e il disegno legge Gelmini si arriva all’omicidio dell’Università pubblica. Nel momento in cui non viene più garantito il ricambio generazionale fra lavoratori giovani e anziani, e dal momento che i pochi a prendere le decisioni saranno sempre e solo i professori ordinari o addirittura persone esterne visto che nel Consiglio di Amministrazione immaginato dal disegno Gelmini è prevista una percentuale significativa di membri esterni, al pari dello statuto che il rettore dell’Università di Genova, De Ferrari, vorrebbe far passare ispirandosi appunto a Gelmini e soci, l’Università diventerà un’azienda, anche senza esserlo, con una gestione sempre più verticistica che comporta ovviamente l’incremento e non la lotta contro il baronato.”

Carlo Andrea Malanima e Pier Domenico Sommati primo dei secondi violini.

“La situazione è grave, siamo sotto attacco. Partiamo dal presupposto che esiste un contratto nazionale che detta delle norme e che il nostro contratto integrativo è il secondo più basso d’Italia. Da una parte quindi abbiamo gli stipendi più bassi, dall’altra il nostro organico è uno dei più ridotti dopo quello del teatro di Cagliari. Il sostegno alla cultura e la trasmissione della tradizione della lirica è sancito dall’art. 9 della Costituzione. Quindi è lo Stato che se ne deve fare carico.

Ricordandosi che l’Italia è l’ultimo fra i paesi occidentali a sostenere la cultura e che sul territorio nazionale si trova il 47% del patrimonio artistico/culturale mondiale, scegliere di continuare sulla strada del peggioramento è qualcosa di gravissimo.

Bisogna riconoscere la funzione sociale del teatro e assestare il contributo statale allo stesso livello della media europea, cioè circa all’1,2% del PIL, e non al misero e ridicolo 0,02% che abbiamo in Italia.

Che  ne dite del fatto che protestate affianco dei ricercatori precari?

Siamo al fianco dei ricercatori precari, oltre al discorso delle proteste contro il Governo e contro le grinfie degli imprenditori alla Garrone che vorrebbero autorchizzare la cultura e la ricerca, anche per creare un percorso con l’università di sociologia per utilizzare la professionalità di orchestra e coro del teatro Carlo Felice (Infelice) all’interno del tessuto sociale genovese.

Come far tornare Felice il Carlo Infelice?

Sono anni che si parla di conferire un immobile al Teatro, come in tutte le altre città italiane, per abbattere il debito di patrimonio di 9 milioni di euro già esistente prima della nascita della fondazione. A quel tempo fu inserito nello statuto un articolo in cui la Regione e il Comune dovevano partecipare alla patrimonializzazione tramite l’annessione di immobili. Le istituzioni non hanno mai mantenuto questo impegno.

Gli immobili non sono pignorabili secondo lo statuto di tutte le fondazioni liriche e se ce li avessimo non falliremmo.

Per questo motivo chiediamo l’annessione al patrimonio della fondazione di piccoli teatri satelliti inutilizzati come quello di Sestri Ponente, potremmo a quel punto sviluppare attività nelle circoscrizioni ad alta densità di immigrazione favorendo così la tanto acclamata integrazione.

Invece Fondazione e Istituzioni non vogliono che il Carlo Felice (Infelice) sia un teatro che produca cultura musicale e teatro musicale, lo vogliono vuoto, senza dipendenti, solo per poterlo gestire a loro piacere come  un contenitore di grandi eventi, tipo la Fiumara.”

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