Foto di gruppo con nessuno. Quando sono gli italiani a emigrare.Di Massimiliano Crociatelli

L'emigrazione dei giovani italiani all'estero rappresenta un fenomeno sottovalutato

Ripenso a scene di film o di romanzi: escamotage narrativo, il protagonista prende in mano una foto di quando era giovane in compagnia degli amici e inizia a pensare. Fin dove è arrivato uno, la carriera fatta dal meno studioso della classe e l’inaspettato fallimento del secchione. Riporto questa scena nella vita reale e anch’io inizio a pensare dove siano arrivati quei giovani nella foto e la risposta spesso è una sola: lontano. Non lontano in senso metaforico, ma geografico.

Giorgio lavora a Madrid, Emanuele a Barcellona, Francesca a Parigi, Greta a Lisbona. Facce cresciute in quei tre o quattro chilometri di paesino ligure, quasi tutti indirizzati agli studi universitari, a volte a master e stage. Come Elena che lavora e vive a Sidney con la sua laurea conseguita in Italia e il suo Erasmus alla Rey Juan Carlos di Madrid; e l’elenco continua senza sosta con Daniele che lavora a New York, Eden a Londra, Alessandra a Madrid, Emiliano e Simone a Hong Kong, Elisa a Barcellona.

Ah, e poi ci sono io, con le mie valige pronte per Melbourne: un lavoro che mi attende là e la non tanto celata speranza di trovare qualche opportunità oltre Oceano. Ecco, questa è la foto dei giovani del ventunesimo secolo in Italia, e ci si sente un po’ sudamericani, con tante storie di viaggi di emigrazione a intrecciare destini e vicende personali. Lo trovo piuttosto avvilente come quadro, benché entusiasta della mia mobilità e del fatto che in questo modo la mentalità provinciale tipica dei paesini subisca un duro colpo.

Come un fiore che nasce su una discarica, il malessere lo si legge anche tra i petali colorati e le foglie rigogliose: è il terreno che è marcio e il viaggio non è frutto del desiderio di scoperta e di cambiamento, ma è dettato dalla condizione della terra che si lascia. Probabilmente tanti di coloro che ho nominato in apertura sarebbero lo stesso sparsi per il mondo anche se vivessimo nel più florido Paese del mondo, ma la differenza si noterebbe. E il problema persiste anche guardando la situazione con gli occhi di chi rimane, e dovrebbe persistere anche di fronte agli occhi di chi governa il Paese, se chi lo governa avesse gli occhi per guardare qualcosa che non siano i propri interessi: una nazione che vede emigrare tutti i suoi giovani, e soprattutto i suoi giovani che hanno studiato, ha un futuro triste davanti. Pensa di stare male ora, ma starà ancora peggio dopo.

Nel novecento sono stati 27 i milioni di italiani emigrati all'estero

Non voglio apparire semplicista, ma un Paese è come un organismo vivente: se la circolazione è efficiente, il cervello in grado di comunicare con le braccia e le gambe e il cuore è sano, la vita scorre libera. Se però il Paese è bloccato, sottoposto a un regime di informazione controllato e pilotato e il suo cuore si sta spegnendo, le aspettative non possono essere rosee. “I giovani sono il nostro futuro, bisogna investire su di loro”, sono discorsi che sento fin da quando ero bambino: riempiono la bocca del politico di belle parole e infondono ottimismo in tutta la società. Ma a pronunciarle erano persone vecchie che sono ancora allo stesso posto, ad ascoltarle anziani arrivati dove erano arrivati con criteri di “merito” legati all’età.

Ma il vero problema è ancora più a fondo: non è solo la classe dirigente a essere mentalmente vecchia, ma è la mentalità stessa della società a non riuscire ad accettare un cambiamento. Il giovane che sia indipendente a 30 anni e abbia un ruolo di responsabilità in una società è un’eccezione agli occhi di qualsiasi italiano, mentre in altri posti è una possibilità verosimile. Scrivo e mi sembra di dire cose conosciute, di condannare problemi noti come nepotismo e raccomandazioni; torno ad ammirare la foto e penso che forse è vero, la soluzione per tutto ciò è preparare la valigia. Si può fallire, fuori dall’Italia; si possono ottenere le soddisfazioni cercate all’estero una volta tornati desolati, in Italia, e si può scoprire che è meglio il sistema che si è cercato di abbandonare in Italia. Ma la situazione attuale è tristemente questa, la partenza, con i suoi pro e i suoi contro, è consigliata, e nulla rimette le persone della foto insieme.

Ma quando i personaggi abbandonano l’autore, il primo a rimetterci è quest’ultimo, incapace di portare in scena una rappresentazione dignitosa, se non, forse, un lungo e angoscioso silenzio che può far riflettere gli spettatori.

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