Essere senza casa a Genova, città dei diritti?

Le panchine sono amiche di chi non ha casa. La giunta di centro sinistra decide di inserire dei dissuasori per chi si sdraia, oppure fa prima: le toglie.

Negli ultimi venti anni ne sono morti circa duecento. E se per un detenuto suicida in carcere la cronaca riserva ancora un trafiletto di cronaca nera, per un barbone, sporco, sudicio e maleodorante, nessun giornalista prende la briga di approfondire.

Il disagio sociale solca un netto passo, i meccanismi centrifughi dell’esclusione sociale si muovono inesorabili nelle zone dell’ombra: non il malessere del disadattato, ma la squallida vita di un eremita metropolitano.

Il corpo esausto cerca ogni riparo nelle notti d’inverno, una sala d’aspetto, dove la Polfer può chiudere un occhio per un innocuo vecchietto, i corridoi asettici del pronto soccorso, e se un primario benevole accorda il permesso, magari si può anche dormire in barella.
L’emergenza freddo è alle porte, che cosa offre la città di Genova, città dei diritti, a chi senza futuro e senza un passato su cui farsi forza, si fa largo come un’ombra fra la folla dei cittadini?

Sotto passaggio stazione Brignole, ore 13.30.

Essere senza fissa dimora per le strade del capoluogo ligure significa un rincorrere silenzioso verso la normalità quotidiana, il soddisfacimento inerte dei bisogni primari, cibo, pulizia, cure sanitarie e un alloggio dove scaldare le ossa. Certo il fenomeno per quanto sviluppato, non raggiunge i numeri delle metropoli, ad esempio a Roma ne vivono circa 7000 mila, ma considerando la conformazione del territorio ligure, da ponente a levante, anche Genova contribuisce ad incrementare statistiche di emarginazione che non soddisfano mai, nel concreto, la realtà dei fatti.

A Genova, ad esempio, manca un monitoraggio effettivo di quante siano le presenze complessive. A vario titolo si occupano di fornire assistenza alla comunità di clochard il Comune, con l’ufficio cittadini senza territorio, aperto due ore ogni 15 giorni, le associazioni di privato sociale, S. Marcellino, Auxilium e Massoero 2000, convenzionate con il Comune per un budget di 250 mila euro annuali ciascuna, e le numerose realtà parrocchiali di quartiere che offrono da sempre un pasto caldo a chi non ha nulla.
Ma chi sono questi senza fissa dimora?

Via XX Settembre, centro di Genova.

Lo stereotipo, quasi romantico, del barbone ha fatto ormai il suo tempo. Oggi non esiste più questa figura, o almeno non rappresenta più la maggioranza delle persone che vivono, sempre più spesso loro malgrado, in mezzo alla strada. Attorno a chi sceglie questa via come rifiuto, o come rivalsa verso la società, ruotano molte figure che, ad un esame più attento, potrebbero non trovarsi in tale degrado. Degrado di prospettive e frustrazione di speranze. L’area di povertà che comprende il mondo dei senza tetto è oggi molto più estesa rispetto al passato, ci sono persone che pur non essendo senza fissa dimora, presentano delle situazione abitative del tutto temporanee e si trovano frequentemente a coniugare alla precarietà dell’alloggio una precarietà del lavoro che essenzialmente preclude ogni ipotesi di riappropriazione del proprio destino. Energie lavorative che non vengono canalizzate nel mercato del lavoro. Fine della partita. Game over. Insert coin.

A questa fascia periferica del mondo civile e del consorzio pubblico, fascia che vive a ridosso fra due mondi, si aggiungono inevitabilmente sempre più cittadini stranieri: storie drammatiche di uomini venuti in Italia per lavorare, Polonia, Ucraina, Romania, Nord Africa, un’Italia che avrebbe potuto essere diversa, fonte di soddisfazione professionale e risorsa per sviluppare un progetto di vita, e che nei fatti si trasforma nel paese che sancisce il tracollo finale, il fallimento di vite che spesso sfociano infallibilmente nell’alcolismo e nella criminalità più spicciola.

E fra loro, molti sono clandestini, pericolosi stranieri che attentano alla sicurezza nazionale, per loro nessuno può disporre cristiana accoglienza, in fondo nessuno può trasgredire una legge nazionale che garantisce la disuguaglianza ed eleva la sperequazione di prospettive e risorse a sistema generale.

E Genova città dei diritti come gestisce questi flussi di desolazione umana?
Per quel che riguarda l’offerta di cibo e vestiario sembra che almeno il necessario si fornito dalle numerose realtà parrocchiali di quartiere, coadiuvate dalle mense convenzionate con il Comune. Il vero problema resta l’alloggio, un ricovero notturno dove scongiurare il freddo invernale. E se fino al 2000 era presente un asilo notturno, il Massoero, che disponeva di più di 100 posti letto per chi transitava nella città e urgeva una sistemazione, ad oggi sono riamasti 20 posti letto e il futuro del locale, sottoposto a restauro, non sembra essere quello di ripristinare l’offerta soppressa.
E che si arrangino allora, come hanno sempre fatto. Il cinismo si impone senza remora alcuna. Tanto non saranno certo loro a chiedere di difendere diritti, mai avuti e mai fatti valere. Non saranno certo loro a organizzare una manifestazione contro un freddo definito emergenziale, che nei fatti è solo un motivo per eludere alla critica un intervento deficitario dell’amministrazione pubblica.
Quando Genova avrà un nuovo asilo notturno capace di garantire il ricovero dei senza fissa dimora? Quando l’amministrazione sarà in grado di gestire la cosa pubblica senza cercare di sfuggire alle proprie responsabilità, adducendo sempre nuove emergenze?
Emergenza freddo, emergenza alloggi, emergenza amministrazione pubblica dotata di buon senso e competenze, no propaganda, cercasi…



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