Fabrizio Dentini.
Nato il 15 giugno del 1981 a Caracas.
Giornalista free lance, si occupa di diritti dei lavoratori, di esclusione e controllo sociale, immigrazione e sistema penitenziario. Ricercatore in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Antropologiche dell’Università degli studi di Genova per il quale ha seguito lo sviluppo della ricerca “Infortuni sul lavoro e malattie professionali”. Ha collaborato con Repubblica, il Giornale, Radio Onda d’urto e il Redattore sociale. Attualmente collabora con il sito di informazione on line nuovasocieta.it e con il bimensile olandese antiproibizionista Soft Secrets come corrispondente dall’Italia. Socio dell’ANSI ( associazione nazionale stampa interculturale).

Come nasce l’idea di un blog di questo tipo?
Divento blogger “fisiologicamente”: dopo aver percorso la canonica strada per entrare nel mondo del giornalismo, mi sono subito reso conto di come la città, dal punto di vista dei media tradizionali, offrisse ben poche possibilità, per questo mi sono dirottato sul web. Un altro aspetto che mi ha indirizzato verso la rete è l’approccio convenzionale usato dai media tradizionali: i problemi sono raccontati sempre sotto un’unica ottica, conclamando di fatto una realtà già costruita, secondo uguali stereotipi, a tutti i livelli informativi. In questo senso, il blog e Il Secolo 21 diventano mezzi importanti per approfondire realtà diverse, al di fuori dei canoni interpretativi ufficiali. Il web, cioè, permette di rileggere nuovi fenomeni in ascesa, con lenti aggiornate e con l’ambizione di fare emergere ciò che nei media tradizionali difficilmente trova spazio».
L’esperimento informativo del Secolo 21, parte da zero, anzi da uno, e fa informazione dal basso, consumando le suole delle scarpe come i vecchi giornalisti, usando però le tecnologie del terzo millennio…
«È la tendenza attuale nel mondo dell’informazione: i giovani giornalisti vedono frustrate le proprie competenze e quindi cercano possibilità sulla rete. Il blog è il primo gradino per fare informazione, anche perché, dal punto di vista tecnico, basta una piccola infarinatura. Naturalmente, c’è anche l’altro lato della medaglia: il mondo del web permette di diramare informazioni a più livelli, ma, allo stesso tempo, l’utente viene sommerso da un continuo flusso informativo, che genera spesso un atteggiamento passivo. Ecco perché il giornalista, oltre a offrire prodotti di alta qualità, dovrebbe approfondire temi di solito omessi o ignorati dal dibattito pubblico ufficiale».
Il Secolo 21 parla soprattutto di attualità, politica, società. Con un occhio particolare al mondo del lavoro, dell’immigrazione e dei diritti civili. Una scelta voluta?
«Se vogliamo sono temi generalmente affrontati, ma mai approfonditi, oppure riletti con gli occhi del secolo scorso e non del secolo nuovo, il ventunesimo, appunto. Il mio obiettivo invece è raccontare e analizzare la società dal suo interno, con uno sguardo nuovo e dal punto di vista di tutti quelli che la crisi non l’hanno vista arrivare due anni fa, ma, al contrario, l’hanno sempre vissuta».
Da blogger come è stato l’approccio con la realtà genovese?
«Genova è una città bellissima dove purtroppo, però, vige un sistema di potere politico ed economico ancorato al passato, senza strumenti culturali adeguati in grado di dare una decisa inversione di rotta alla città. Oggi più che mai, invece, servirebbe stare al passo con i tempi, affrontando le sfide della modernità».
E da freelance?
«In genere il free lance è una figurata guardata un po’ con sospetto, come fosse una mina vagante, l’approccio generalmente è di chiusura o, spesso, di curiosità. Del resto, se, da una parte, il ruolo del giornalista è controllare cosa fa il potere, dall’altra, il potere ha bisogno del giornalista per diffondere quello che fa».
A proposito di giornalismo, come sta il mondo dell’informazione nel XXI secolo?
«È un tasto dolente sul quale ho passato e passerò ore di riflessione e sgomento. Viviamo in un Paese anomalo: basta pensare alla legge in materia di intercettazioni, attualmente in discussione, che prevede il carcere per i giornalisti, per avere ben chiaro il polso e il termometro della situazione. Se a questo si aggiungono la dilagante precarietà degli impieghi e l’abuso della contrattazione orale, si capisce bene come il giornalista di oggi non sia libero a priori, a prescindere dal potere editoriale. Insomma non è più quel mondo dorato di un tempo, ma a prevalere sono spesso la frustrazione e una lotta quotidiana, anche verso se stessi».
Grazie per l’intervista a Tamara Turatti e a Genova post