
A. abitava a Nervi, adesso è in un CIE a Torino in Corso Brunelleschi dove esiste una di quelle strutture istituite con la legge Turco Napolitano: prima si chiamavano CPT, Centri di permanenza Temporanea, adesso invece l’acronimo è stato traslato in Centri di Identificazione ed Espulsione. La sostanza comunque non cambia, chi si trova rinchiuso lì dentro lo è su base amministrativa, non per un delitto commesso, ma per la semplice irregolarità di soggiorno. Che però da agosto è diventata un reato.
A. è stato portato in Corso Brunelleschi direttamente dalla galera. Infatti si trovava recluso, dopo aver scontato diverse condanne cumulate per diversi processi, da un periodo di 6 anni e mezzo.
Senza troppi giri di parole questa testimonianza riporta chi ascolta nella dimensione più nascosta di questo paese: la totale inottemperanza dei diritti umani per le persone che non hanno un santo in paradiso.
A. racconta: “In 30 persone siamo in sciopero della fame da tre giorni. Da quando dopo aver tentato di evadere siamo stati ricondotti qui dentro con violenze e pestaggi. Un ragazzo ha il naso rotto, un altro le costole, in 5 hanno certificati medici che dimostrano le violenze subite. Domenica abbiamo cercato di evadere, io c’ero riuscito, ma sono stato fermato dopo 3 ore, sono stato preso e colpito tantissimo e poi riportato qui. Non ho fatto nessun reato sono qui solo perché non ho i documenti. Il mio passato l’ho pagato con il carcere, adesso dovrei essere libero, mi hanno detto che mi avrebbero trattenuto pochi giorni e invece sono qui dal 9 marzo.
Qui la situazione è brutta, maltrattamento e menefreghismo totale, il cibo è inmangiabile e per l’infermeria bisogna aspettare delle ore e poi avere fortuna. La situazione è drammatica. L’unica cosa buona è il telefono con il quale possiamo stare in contatto con l’esterno.
Io ho paura di essere espulso, l’ho gia detto di fronte alle commissioni. Essendo convertito alla religione cattolica, al mio paese, il Marocco, non avrò che problemi, anche mio padre mi disse che non mi avrebbe più riconosciuto se mi fossi convertito. Sono in Italia dal 1997 ho abitato a lungo a Genova, a Nervi”
A. non deve essere identificato dopo 6 anni e mezzo di galera lo Stato sa benissimo la sua identità, deve essere espulso, perché è stato un delinquente? La pena espiata, secondo i dettami dell’attuale legge, dovrebbe portare alla risocializzazione, non al suo allontanamento in un paese che tra l’altro A. non riconosce nemmeno più.
Il tema immigrazione desta poco interesse nel circuito mediatico se non per rafforzare lo stereotipo dell’immigrato pericolo pubblico. La realtà che invece è narrata in queste parole fa emergere delle circostanze sulle quali occorre soffermarsi a riflettere. Italia 2010 stato di diritto? Stato di diritto esclusivo? Tutela alcuni e dimentica altri? Su che base è tracciata questa demarcazione? Dove si situa la morale di questa comune quanto rimossa vicenda?
Ognuno trovi la propria.
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